Podcast: prediletti dal 36% dei GenZ 

L’ultimo Trend Radar di Samsung monitora il mercato locale dei podcast per scoprire quali sono le abitudini degli italiani in fatto di contenuti audio. Se il 79% degli italiani ascolta la radio quasi tutti i giorni, i giovani amano i podcast, addirittura prediletti dal 36% degli appartenenti alla GenZ. Per ascoltare i podcast lo smartphone è lo strumento preferito (63% vs ascolti da PC 36%), così come per gli audiolibri (66% smartphone e 30% PC). Musica e playlist, dopo lo smartphone, confermano invece un ascolto maggiore su PC, TV o soundbar. Il PC, in particolare, viene utilizzato dal 35% degli uomini e dal 28% delle donne, mentre la TV principalmente dagli uomini (30% vs donne 22%), come la soundbar (18% vs 12%).

I luoghi e le occasioni di ascolto

Per quanto riguarda luoghi e occasioni di ascolto, la casa è il luogo maggiormente apprezzato per ascoltare i contenuti preferiti. Tra le mura domestiche, il 78% ascolta musica e playlist, il 73% audiolibri e il 68% podcast.
“Quando si ascolta un podcast si è molto più attenti rispetto a quando si guarda uno show in TV – spiega Francesco Cordani, Head of MarCom Samsung Electronics Italia -. Intanto perché la maggior parte delle persone li ascolta da casa, moltissimi su smartphone, quindi è un’esperienza molto personale – continua Cordani -. Tuttavia, sta crescendo l’uso di altri dispositivi per la fruizione di podcast, come gli smart speaker o le TV”.

La radio on demand 

I podcast sono una valida modalità per approfondire diversi temi per l’89% degli italiani, e la principale fonte di informazione su notizie di attualità (26%), soprattutto dalla fascia 55-64 anni (34%) e dagli under 24 (33%). L’ascolto della radio aumenta invece all’aumentare dell’età: i principali fruitori di contenuti radiofonici hanno un’età compresa tra 45-54 anni (oltre l’89%).
“La tecnologia ha aiutato e stimolato la fruizione della radio da parte delle nuove generazioni: la creazione di app è adatta a loro perché sono nativi digitali – aggiunge Cordani -. In passato molti accendevano la radio e la lasciavano in background, mentre oggi c’è più interesse in particolare alle trasmissioni, siamo noi a creare il nostro palinsesto, grazie all’on demand”.

Generazione Wi-Fi

Il 3 ottobre ha debuttato la terza serie di podcast prodotta da Samsung, Generazione Wi-Fi . che ha l’obiettivo di esplorare il punto di vista della GenZ su argomenti come musica, fashion, innovazione e intrattenimento. Cinque episodi condotti dallo speaker radiofonico Jody Cecchetto con una tematica diversa ogni settimana, riferisce Adnkronos. Questo terzo esperimento si rivolge ai Millennials e alla GenZ affrontando argomenti come fashion, k-pop e tecnologia, e nel futuro di Samsung ci saranno altri contenuti italiani.
“Il nostro obiettivo è partire da un concetto strategico di mercato e calarlo in una realtà che dia effetti visibili in Italia – puntualizza Cordani -. Così riusciamo a essere più rilevanti nel mercato locale: raccontando le microstorie che rendono il prodotto utile nella realtà”.

Open Banking: i consumatori digitali italiani crescono del 20% 

Nel primo semestre 2022 rispetto al 2021in Italia si registra un incremento di oltre il 20% dell’utilizzo dei servizi di Open Banking, sia per quanto riguarda il consenso all’accesso ai conti sia per il processo di Access2Account. Secondo il Market Outlook sul fenomeno dell’Open Banking realizzato da CRIF, l’Italia, pur presentando un mercato meno sviluppato, e di dimensioni più modeste rispetto ad altri Paesi europei, segnala un’evoluzione culturale che vede il consumatore digitale acquisire più fiducia e dimestichezza con i processi della PSD2. I principali ostacoli da sormontare rimangono soprattutto di natura culturale, tecnologica e commerciale. Di recente, però, le banche hanno intrapreso iniziative per sfruttare a pieno le potenzialità di questo mercato.

Il profilo dei fruitori

L’utilizzo dell’Open Banking è più diffuso tra gli uomini (76%), rispetto alle donne (24%), mentre in termini di provenienza geografica circa il 13% degli utenti corrisponde a un profilo New to Country, utenti che non sono nati in Italia ma che vi hanno stabilito la propria residenza. Inoltre, più del 30% dei fruitori appartiene alla categoria New to Credit, ossia privi di una storia creditizia.
“Tale dato dimostra come questa tecnologia possa aumentare l’inclusione finanziaria, raccogliendo dati anche su profili che non possono affidarsi a un tracking creditizio pregresso”, spiega Elena Mazzotti, Head of Innovation & Strategy di CRIF.
Inoltre, circa il 70% di chi ha condiviso i propri dati di conto risulta percepire un reddito regolare e continuativo con un importo medio di circa 1.300 euro.

Transazioni per Food and Daily Spending le più frequenti

In merito alle uscite, mediamente il 28% del reddito è utilizzato per affitti, il 23% per rimborsi finanziari (mutui o prestiti), l’11% per spese assicurative.
Le transazioni effettuate in Food and Daily Spending sono poi le più frequenti per tutte le fasce d’età, mentre quelle relative a Hobby e tempo libero sono più comuni tra i giovani, e quelle categorizzate come Prestiti, tendenzialmente più presenti sui conti di soggetti più anziani. Queste osservazioni dimostrano come l’Open Banking possa rivoluzionare anche il calcolo della sostenibilità del debito, automatizzando il processo, neutralizzando eventuali tentativi di contraffazione di documenti reddituali e includendo evidenze su rendite non facilmente documentabili.

L’incremento del lending rate

Quanto al fabbisogno di credito, CRIF ha realizzato un’analisi basata su kpi e analytics proprietari, attraverso la quale è possibile individuare cluster di clientela che nel breve saranno più inclini a ricorrere a forme creditizie. Si nota un incremento nel lending rate (propensione all’acquisto di un prodotto di credito nei successivi 6 mesi) per diversi segmenti, tra cui è possibile rintracciare clienti con alte spese per attività sportive o wellness, clienti pluri-assicurati, clienti con alte spese per vestiario, clientela con profilo digital e altre categorie, che registrano comunque un incremento del lending rate superiore al 10%.

Nel 2022 il mercato immobiliare rallenta, ma resiste

Nel 2022 il fatturato immobiliare in Europa cresce del 10%, con i prezzi in salita spinti dall’inflazione. Nell’arco degli ultimi dodici mesi il volume totale degli investimenti in Europa ha raggiunto la cifra record di 387,3 miliardi di euro, superiore del 35%o rispetto al periodo 2020-2021.
Anche in Italia il fatturato cresce del +9,9%, e arriva a toccare 139 milioni di euro, anche se le transazioni residenziali sono in calo. Secondo l’European Outlook 2023, il mercato immobiliare europeo e quello italiano chiudono quindi il 2022 con un aumento simile dei fatturati. Le previsioni per il 2023 in Italia sono stimate a 148 miliardi di euro (+6,5%), collocando il nostro Paese al 2° posto fra i cinque principali mercati immobiliari europei.

In Europa fatturato a +9,9%

Le previsioni per la fine del 2022 nell’area EMEA sono fra i 320 e i 305 miliardi di euro, con un calo compreso fra il -10% e il -15% rispetto al 2021, chiuso con circa 360 miliardi di euro. La solidità dei mercati immobiliari nei principali Paesi europei, rispetto allo scenario congiunturale futuro, previsto in calo e ancora carico di incertezza, viene confermata dalle previsioni sui fatturati delle cinque principali nazioni, Germania, Francia, Spagna, Italia e Regno Unito. Nella media dei cinque Paesi la crescita nel 2022 è stimata a +12,1% rispetto al 2021, mentre allargando la stima ai 28 Paesi UE la media del fatturato è del +9,9%.

In Italia compravendite residenziali a -5,3%

Un contributo importante alla crescita dei fatturati globali in termini di valore arriva dalla variazione positiva dei prezzi registrata quest’anno, a cui ha contribuito l’aumento dell’inflazione degli ultimi mesi. Nei cinque Paesi più industrializzati, si prevede per il comparto residenziale un aumento medio del 4,5% dei prezzi delle case a fine 2022, mentre la stima per l’anno successivo è fissata al +6,5% medio annuo.  Sul fronte delle transazioni immobiliari residenziali, l’Italia dopo l’eccezionale performance del 2021, chiuderà l’anno in corso in leggero calo, con una diminuzione degli scambi del -5,3%, attestandosi sulle 710 mila compravendite. Per il 2023 si prevede una ulteriore discesa, che dovrebbe comunque restare inferiore al 6% (-5,6%) con circa 670 mila compravendite.

Segnali positivi arrivano dagli investitori 

Il comparto retail continua a offrire un quadro piuttosto travagliato sul fronte dei prezzi, che nel 2022 registrano una crescita dello 0,8% annuo, mentre la previsione per il 2023 è di un aumento del 4,3%. Segnali positivi per il comparto retail arrivano dagli investitori, che nella prima parte dell’anno corrente, rispetto al primo semestre 2021, aumentano del 31% i volumi, raggiungendo un totale di 10,3 miliardi di euro. Per quanto riguarda il comparto della logistica, le previsioni sulla chiusura del 2022 sono positive, anche se più prudenti rispetto agli anni passati. Nella media generale i valori dovrebbero aumentare del 2,9% rispetto all’anno scorso, mentre per il 2023 si prevede un aumento di un punto percentuale rispetto al 2022.

L’Italia che verrà: come saranno le famiglie del prossimo futuro?

Piccole, spesso composte da una coppia senza figli o da un singolo. Più in là con gli anni e soprattutto in deciso calo. Insomma, il futuro del nostro Paese, per quanto riguarda l’andamento demografico, non è certo incoraggiante. Il quadro tracciato dall’Istat, aggiornato al 2021, conferma la presenza di un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 a 57,9 milioni nel 2030, a 54,2 milioni nel 2050 fino a 47,7 milioni nel 2070. SI tratta di decrementi importanti, che indicano anche che ci saranno sempre meno bambini. Per questo,  il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050.

Single in aumento

L’andamento tracciato dall’Istituto di Statistica prevede un deciso aumento delle le famiglie con un numero medio di componenti sempre più ridotto. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà. Ancora, la popolazione cresce di età: nel 2050 la quota di individui di 65 anni o più toccherà il 34,9% (oltre un terzo della popolazione), rispetto al 23,5% odierno. Un altro dato in aumento è il numero dei single: attualmente le persone che vivono sole sono 8,5 milioni, ma diventeranno 10,2 milioni nel 2041.

Quanti saremo?

Sulla base dello scenario di previsione “mediano” è attesa una decrescita della popolazione residente nel prossimo decennio: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 (punto base delle previsioni) a 57,9 milioni nel 2030, con un tasso di variazione medio annuo pari al -2,5‰. Nel medio termine la diminuzione della popolazione risulterebbe più accentuata: da 57,9 milioni a 54,2 milioni tra il 2030 e il 2050 (tasso di variazione medio annuo pari al -3,3‰). Nel lungo termine le conseguenze della dinamica demografica prevista sulla popolazione totale si fanno più importanti. Tra il 2050 e il 2070 la popolazione diminuirebbe di ulteriori 6,4 milioni (-6,3‰ in media annua). Sotto tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 47,7 milioni nel 2070, conseguendo una perdita complessiva di 11,5 milioni di residenti rispetto a oggi. Le previsioni demografiche sono, per costruzione, tanto più incerte quanto più ci si allontana dall’anno base. L’evoluzione della popolazione totale rispecchia tale principio già dopo pochi anni di previsione. Nel 2050 il suo intervallo di confidenza al 90% (ovvero che il suo presunto valore cada tra due estremi con probabilità pari al 90%) oscilla tra 51,1 e 57,5 milioni. Venti anni dopo si è tra 41,2 e 55,1 milioni.

Tre aziende su 4 non trovano i profili ricercati: +120% rispetto a 10 anni fa

È un fenomeno che coinvolge anche l’Italia, dove la percentuale complessiva è di poco inferiore alla media globale, nonché una minaccia che può mettere un freno alla crescita economica: 3 aziende su 4 non riescono a trovare i profili professionali di cui hanno bisogno. In particolare, secondo una ricerca internazionale ripresa dal World Economic Forum, la percentuale è pari al +120% rispetto al 2012, quando le aziende faticavano a trovare ‘solo’ il 34% dei lavoratori, e +8,7% sul 2021. Secondo il report Upwork’s Future Workforce, il 70% delle organizzazioni ha previsto un aumento del personale entro i prossimi sei mesi, ma a patto che si riescano a trovare i profili specializzati. E gli ambiti di lavoro dove è più difficile scovare i talenti sono Information Technology, sales & marketing, manufatturiero e front office.

Il 43% delle aziende lamenta carenze di competenze

Le aziende si trovano costrette quindi ad affrontare nuove sfide nello scenario globale post-pandemico: il Talent Shortage e lo Skill Shortage, ovvero, la mancanza di competenze tecniche e personali adatte a ricoprire una nuova posizione lavorativa. La ricerca The skillful corporation, redatta da McKinsey, ha messo in evidenza come oggi il 43% delle aziende lamenti carenze di competenze all’interno della propria forza lavoro. Percentuale che sale all’87% se si dilata l’arco temporale fino ai prossimi 5 anni. Non sorprende che per il 53% delle organizzazioni l’azione più utile da intraprendere sia quella di reskillare i dipendenti, seguito dall’assunzione di nuove risorse (20%) e la ridistribuzione della forza lavoro con nuovi incarichi e posizioni (20%).

Quali sono le soft skill più ricercate dagli headhunter?

Secondo gli esperti di ricerca e selezione del personale di Zeta Service attualmente le prime 2 del le 5 top soft skill più ricercate dagli headhunter sono Smart Teamworker, ovvero la capacità di collaborare per portare a termine un progetto anche da remoto, e il Time Management. Riuscire a definire in anticipo gli obiettivi, focalizzando il lavoro verso attività definite e in grado di portare risultati, aiuterà la risorsa a ottimizzare il lavoro.

Da Adaptability a Knowledge Management

Seguono l’Adaptability (sapersi adattare a contesti lavorativi mutevoli, essere aperti alle novità, a nuovi incarichi ed essere disponibili a collaborare con persone con punti di vista anche diversi dal proprio), il Critical Thinking (riuscire a trasmettere le criticità attuali in modo chiaro, accurato e preciso, e saper trovare una soluzione alle criticità che si stanno incontrando), e il Knowledge Management, l’abilità nell’acquisire, organizzare e riadattare dati e informazioni provenienti da fonti diversi. I lavoratori che hanno queste soft skills sanno analizzare le problematiche per poter ricercare le informazioni necessarie a risolvere le necessità. E organizzarle e condividerle in base alle priorità.

Estensioni del browser dannose: 1,3 milioni di utenti colpiti nella prima metà del 2022 

Nella prima metà del 2022 più di 1,3 milioni di utenti sono stati colpiti almeno una volta da minacce nascoste nelle estensioni del browser, +70% rispetto a tutto il 2021.
È quanto hanno rilevato i ricercatori di Kaspersky analizzando i rischi che le estensioni del browser dall’aspetto ‘innocente’ comportano per gli utenti, nonché le attività dei criminali informatici che nascondono le minacce nei componenti aggiuntivi. Imitando app popolari o estensioni con funzionalità utili, come PDF Converter o Video Downloader, le minacce nelle estensioni del browser possono inserire pubblicità, raccogliere dati sulla cronologia di navigazione e persino cercare le credenziali di accesso.

Gli adware sono i più diffusi

Le minacce più diffuse sono stati gli adware, ovvero software indesiderati progettati per diffondere annunci pubblicitari che vengono visualizzati sullo schermo. Questi annunci si basano solitamente sulla cronologia di navigazione e hanno l’obiettivo di catturare l’interesse degli utenti, incorporare banner nelle pagine web o reindirizzare gli utenti a pagine affiliate da cui gli sviluppatori possono guadagnare. Nel periodo compreso tra gennaio 2020 e giugno 2022 sono stati colpiti da questa minaccia più di 4,3 milioni di utenti unici, circa il 70%. Ma i componenti aggiuntivi dannosi e indesiderati vengono distribuiti anche attraverso i marketplace ufficiali.

Nel 2020 Google ha rimosso 106 estensioni dannose dal Chrome Web Store

Nel 2020, Google ha rimosso infatti 106 estensioni del browser dannose dal Chrome Web Store usate per sottrarre dati sensibili, come cookie e password, e per fare screenshot. Complessivamente, queste estensioni dannose sono state scaricate 32 milioni di volte. Tuttavia, questo non accade spesso, infatti il sistema principale di distribuzione dei componenti aggiuntivi dannosi avviene attraverso risorse di terze parti. Una delle famiglie di minacce analizzate da Kaspersky, denominata FB Stealer, è stata diffusa esclusivamente attraverso siti non affidabili. FB Stealer è una delle famiglie di minacce più pericolose, perché oltre alla tradizionale sostituzione del motore di ricerca e al re-indirizzamento delle pagine affiliate, è in grado di sottrarre le credenziali degli utenti da Facebook.

Il pericoloso Trojan NullMixeril

Quando gli utenti hanno cercato di scaricare un programma di installazione di software craccato da risorse di terze parti, come SolarWinds Broadband Engineers Keymaker, hanno ricevuto un pericoloso Trojan NullMixeril che autoinstallava FB Stealer sul dispositivo, ingannando l’utente imitando l’estensione di Chrome ‘Google Translate’. Il Trojan NullMixer si diffonde attraverso diversi programmi di installazione violati, come ad esempio il keymaker per ingegneri broadband di SolarWinds.
Una volta lanciato FB Stealer, il Trojan NullMixer può estrarre i cookie di sessione di Facebook (informazioni segrete memorizzate nel browser che contengono i dati di identificazione e consentono agli utenti di rimanere connessi), per poi inviarli ai server degli attaccanti. Utilizzando questi cookie, i cybercriminali potevano accedere rapidamente all’account Facebook dell’utente e chiedere denaro agli amici della vittima prima che fosse in grado di recuperare il proprio account.

Inflazione e imprenditoria: in tempi difficili sono possibili nuovi business?

Il 2022 si sta mostrando un anno ricco di avvenimenti, dall’aumento dei contagi da Covid-19 in tutto il mondo alla guerra in Ucraina, l’aumento dei prezzi e del costo della vita, e l’inflazione. In questo contesto, difficile ma portatore di sfide, quali sono le ripercussioni sull’imprenditorialità? Risponde la nuova indagine Ipsos su imprenditoria e inflazione. In media, a livello internazionale, tre intervistati su dieci (31%) hanno avviato un’attività imprenditoriale in passato e una percentuale analoga (29%) spera di farlo nel prossimo futuro. In Italia si registrano percentuali minori: il 23% afferma di aver avviato un’attività imprenditoriale in passato e il 26% sta prendendo in considerazione di farlo, ma il 51% non ha mai avviato un business.

La barriera dei finanziamenti

Al pari dell’attività, anche le aspirazioni imprenditoriali variano notevolmente nei 26 Paesi esaminati. La probabilità di avviare un’attività è più alta in molti Paesi dell’America Latina, in Sudafrica e in India, ed è significativamente più bassa in Corea del Sud, Francia, Svezia, Belgio, Paesi Bassi e Giappone. Anche in Italia non si registrano percentuali elevate, infatti, soltanto il 19% degli intervistati pensa di avviare un’attività imprenditoriale nei prossimi due anni, e la principale barriera è rappresentata dai finanziamenti, citati dal 39% degli intervistati.

Meglio lavorare per qualcun altro

In media, a livello internazionale, il 29% degli intervistati avvierebbe un’attività imprenditoriale perché potrebbe contare sui programmi sociali del proprio Paese al fine di mitigare i rischi. Percentuale che in Italia si abbassa al 22%. Allo stesso modo, il 35% dei rispondenti a livello internazionale si dichiara demotivato ad avviare un’attività imprenditoriale, ritenendo preferibile lavorare per qualcun altro, percentuale che in Italia si alza al 41%.  Analizzando, invece, fattori come il supporto del Governo, i tassi d’interesse e l’inflazione, in che misura questi contribuiscono al successo di nuove attività imprenditoriali? 

Inflazione, tassi d’interesse e supporto del Governo

Il 68% degli italiani considera il supporto del Governo il principale fattore nel determinare il successo di una nuova iniziativa imprenditoriale, percentuale molto più alta rispetto alla media internazionale (56%). Al tempo stesso, però, soltanto il 30%  ritiene che il Governo del proprio Paese stia facendo un buon lavoro nel promuovere l’imprenditorialità e assistere attivamente gli imprenditori, percentuale che si abbassa al 19% in Italia.  Subito dopo si posizionano i tassi d’interesse: il 47% degli italiani li ritiene un fattore di successo, una percentuale leggermente più bassa rispetto alla media internazionale (50%). E soltanto il 26% degli italiani, la quota più bassa tra tutti i Paesi esaminati, considera l’inflazione un fattore determinante per il successo di un’iniziativa imprenditoriale. Nel resto dei Paesi la media è pari al 40%. 

Eventi globali di shopping online: una grande opportunità per i brand

Classificare i festival e gli eventi di shopping online globali come ‘occasioni sporadiche per generare entrate aggiuntive’ è un errore. Questi eventi potrebbero essere il prossimo settore destinato a evolversi insieme all’e-commerce, poiché generano grandi entrate per i brand. La partecipazione a questi eventi può essere infatti molto vantaggiosa per chi è alla ricerca di opportunità internazionali. Questo perché i brand possono facilmente affermare la loro presenza online su piattaforme globali, e con i dati giusti, testare e monitorare la performance dei prodotti su ogni piattaforma e mercato. In modo da decidere dove allocare le risorse e investire in pubblicità e promozioni per migliorare il ROI complessivo.

Dal Prime Day al Black Friday al Cyber Monday

Durante le 48 ore del Prime Day di Amazon dello scorso anno le vendite totali online negli Stati Uniti hanno superato 11 miliardi di dollari. E i retailer hanno totalizzato vendite superiori a 1 miliardo di dollari all’anno, per un aumento del 29% nelle vendite online rispetto a un giorno medio di giugno.
Sebbene l’Amazon Prime Day sia attualmente disponibile solo in alcuni mercati, il suo impatto aumenterà con l’aggiunta di nuove categorie, brand e paesi, grazie al crescente interesse dei consumatori. Quanto al Black Friday, oggi è l’esperienza di shopping più attesa al mondo. Secondo NielsenIQ Foxintelligence, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito hanno registrato un picco di vendite online durante il Black Friday del 2021. Un trend intensificato nel successivo Cyber Monday, soprattutto negli acquisti di elettrodomestici e cellulari.  

L‘Asia dei Double Days 

Il Double 11 (o Singles Day, che si svolge l’11/11) e altri Double Days (1/1, 2/2…) sono gli eventi online più significativi in Asia. I giganti cinesi dell’e-commerce Alibaba e JD.com hanno generato vendite per 139 miliardi di dollari durante il Double 11 nel 2021. Sebbene il loro impatto rimanga visibile soprattutto in Asia, i Double Days stanno iniziando a guadagnare spazio in Medio Oriente, in particolare in Turchia. L’Asia ospita mercati globali pionieristici dell’e-commerce come la Cina e la Corea del Sud e genera il 50% delle vendite online globali. Per questo motivo, i brand che cercano opportunità in Asia dovrebbero prestare molta attenzione a questi eventi di shopping online.

Sviluppare una strategia e-commerce di successo

L’online è sicuramente l’ambiente perfetto per trovare prezzi più bassi. I manufacturer devono tenere d’occhio le nuove opportunità derivanti dagli eventi globali di e-commerce, che possono trasformarsi in una nuova fonte di reddito e crescita. I brand devono affrontare questi eventi in modo strategico, identificando i prodotti e le categorie più richiesti, realizzando campagne pubblicitarie e promozioni efficaci e ottimizzando i canali di distribuzione allineati con i consumatori, i mercati, le piattaforme e i tempi giusti. Metriche chiave come le vendite giornaliere, il monitoraggio dei prezzi e delle promozioni, il posizionamento dei prodotti sugli scaffali digitali consentono un approccio olistico alla performance di vendita online e garantiscono il successo della strategia di e-commerce.

Record dei consumi per i surgelati: nel 2021 raggiunti 16 kg pro-capite

Nel 2021 il comparto dei prodotti sottozero ha registrato un nuovo record nel consumo pro-capite, salito a 16 kg contro i 15,2 kg del 2020, per consumi complessivi pari a 941.561 tonnellate. Determinante nella crescita il risultato ottenuto dal Retail, aumentato del +1,7% a volume, ma soprattutto del Fuoricasa, che dopo il brusco crollo del 2020 (-37%) è ripartito con un incremento del +19,6%. Dal punto di vista dei consumi, i primi mesi del 2022 hanno però segnato una leggera frenata del canale Retail, peraltro attesa dopo due anni di aumenti pari a quasi +14% a volume nel periodo 2020-2021. Prosegue, inoltre, la ripresa dei consumi fuori casa, incoraggiata dagli ulteriori allentamenti delle misure restrittive. Sono alcuni dati emersi dal Rapporto Annuale sui Consumi dei prodotti surgelati di IIAS – Istituto Italiano Alimenti Surgelati.

Prosegue il cammino di crescita già iniziato negli anni precedenti

Nel 2021, i surgelati hanno proseguito il cammino di crescita già iniziato negli anni precedenti, attestandosi su un valore di mercato tra i 4,6 e i 4,8 miliardi di euro, pari al +5,3% rispetto al 2020.
A contribuire a questo risultato il mercato Retail, che ha superato le 605mila tonnellate arrivando a coprire il 66,4% del valore di mercato, e il Fuoricasa, che ha toccato 240mila tonnellate. Una ripresa però ancora lontana dai valori pre-pandemia e che necessita di essere consolidata. Si attesta su quota 96mila tonnellate il dato complessivo delle vendite e-commerce e door-to-door, che oggi rappresentano circa il 10% di tutti i consumi, con significativo incremento delle vendite online, che nel 2021 hanno continuato a crescere del +20,6% a volume e del +17,4% a valore.

Il podio del Retail: vegetali, ittici e patate

A confermare la leadership per volumi consumati nel Retail, pur con una lieve diminuzione rispetto al 2020 (-2%) i vegetali, con 255.400 tonnellate, soprattutto quelli preparati (+12,6%). Non estranea a questo risultato la tendenza a scegliere sempre più spesso proteine a base vegetale. Buoni risultati anche per i prodotti ittici, con 113.300 tonnellate nel Retail (+2%), le patate surgelate (fritte ed elaborate), con 85.700 tonnellate (+7,2% sul 2020), e pizze e snack (+1,8%, 92.400 tonnellate).
A trainare il segmento con un +4,2% gli snack salati, mentre con 37.400 tonnellate circa, i piatti ricettati segnano l’incremento percentuale più elevato: +10,2%.

Export: +18,1% per la ‘Pepperoni Pizza’

Grazie agli accordi raggiunti da UIF-Unione Italiana Food, il 2021 è stato il primo anno in cui le aziende italiane di pizze surgelate operanti su tutto il territorio della Penisola hanno potuto esportare sul mercato americano anche le pizze contenenti carne suina/prodotti di salumeria: una grande opportunità per chi voglia intercettare i gusti dei consumatori statunitensi, notoriamente amanti della ‘Pepperoni Pizza’, il cui ingrediente principale è il salame piccante. Negli ultimi due anni (2021 vs 2019) l’export di pizze surgelate Made in Italy ha così segnato una crescita del +18,1% a valore e +17,7% a volume.

Un occupato su 4 ha trovato lavoro tramite canali informali

Tra il 2011 e il 2021 i canali informali di ricerca hanno generato il 56% dell’occupazione: circa 4,8 milioni di posti di lavoro sottratti alla intermediazione ‘palese’. E oltre il 60% dell’occupazione generata dalle piccole imprese private (1-5 e 6-10 addetti), il 40% del totale del settore privato, passa in maniera consistente attraverso l’intermediazione informale. In pratica, negli ultimi dieci anni quasi un lavoratore su quattro (23%) ha trovato occupazione tramite amici, parenti, conoscenti, o attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo (9%). Ma il canale di ricerca cresciuto maggiormente in questo periodo è l’autocandidatura, passata dal 13% al 18%, probabilmente anche in relazione al crescente ruolo dei social media.

Nel 2021 il 75% delle ricerche di lavoro passa da Internet

È quanto emerge dal policy brief dell’Inapp, che prende in esame i dati dell’indagine Inapp-Plus, sulla dinamica dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
“Sebbene solo il 2% degli occupati dichiari di avere trovato lavoro tramite app o social network – commenta Sebastiano Fadda, presidente Inapp – tuttavia, l’intermediazione digitale, se non adeguatamente regolata, rischia di alimentare ulteriormente l’informalità. Basti pensare che si è passati dal 25% degli occupati che nel 2000 dichiaravano di aver fatto ricorso a Internet durante la fase di ricerca di lavoro, al 50% del 2010, fino al 75% del 2021”.

Serve un player pubblico che sostenga i processi di allocazione e riallocazione

Tra i canali formali, si riduce il ruolo dei concorsi pubblici (10%, -7% rispetto a dieci anni fa), per effetto della riduzione del perimetro del settore pubblico e del blocco del turn-over nella PA. Si registra, inoltre, un crescente, ma comunque sempre inferiore rispetto ai canali informali, ricorso alle agenzie private e ai job center di istituzioni scolastiche e formative. In un mercato del lavoro esposto a complesse ricomposizioni e transizioni serve un player pubblico che sostenga tutti i processi di allocazione e di riallocazione della forza lavoro. I centri per l’impiego, ad esempio, trattano prevalentemente un’utenza debole (il 32% ha le medie inferiori) e riescono a condurre al lavoro poco più del 4% dell’utenza.

Una carenza di opportunità di qualità

La retribuzione di chi ha trovato lavoro grazie ai centri per l’impiego è in media 23.300 euro lordi all’anno, contro 35.000 di chi ha vinto un concorso pubblico o 32.600 di chi ha trovato lavoro nell’ambiente professionale. La quota di laureati che hanno trovato lavoro attraverso i Servizi per l’impiego è la più bassa (23%) dopo quella delle agenzie interinali (20%). Dunque, da un lato c’è un problema di carenza di opportunità di qualità e dall’altro l’onere di trattare un’utenza particolarmente fragile.
“Per un miglioramento complessivo del funzionamento del mercato del lavoro i centri per l’impiego devono essere potenziati anche nella loro interconnessione con le imprese, i servizi dell’orientamento, i servizi formativi, gli altri organismi operanti nell’intermediazione – aggiunge Fadda -. Ovvero, ai centri per l’impiego bisogna attribuire un ruolo attivo nel mercato del lavoro e offrire le condizioni per poterlo svolgere”.