Un occupato su 4 ha trovato lavoro tramite canali informali

Tra il 2011 e il 2021 i canali informali di ricerca hanno generato il 56% dell’occupazione: circa 4,8 milioni di posti di lavoro sottratti alla intermediazione ‘palese’. E oltre il 60% dell’occupazione generata dalle piccole imprese private (1-5 e 6-10 addetti), il 40% del totale del settore privato, passa in maniera consistente attraverso l’intermediazione informale. In pratica, negli ultimi dieci anni quasi un lavoratore su quattro (23%) ha trovato occupazione tramite amici, parenti, conoscenti, o attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo (9%). Ma il canale di ricerca cresciuto maggiormente in questo periodo è l’autocandidatura, passata dal 13% al 18%, probabilmente anche in relazione al crescente ruolo dei social media.

Nel 2021 il 75% delle ricerche di lavoro passa da Internet

È quanto emerge dal policy brief dell’Inapp, che prende in esame i dati dell’indagine Inapp-Plus, sulla dinamica dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
“Sebbene solo il 2% degli occupati dichiari di avere trovato lavoro tramite app o social network – commenta Sebastiano Fadda, presidente Inapp – tuttavia, l’intermediazione digitale, se non adeguatamente regolata, rischia di alimentare ulteriormente l’informalità. Basti pensare che si è passati dal 25% degli occupati che nel 2000 dichiaravano di aver fatto ricorso a Internet durante la fase di ricerca di lavoro, al 50% del 2010, fino al 75% del 2021”.

Serve un player pubblico che sostenga i processi di allocazione e riallocazione

Tra i canali formali, si riduce il ruolo dei concorsi pubblici (10%, -7% rispetto a dieci anni fa), per effetto della riduzione del perimetro del settore pubblico e del blocco del turn-over nella PA. Si registra, inoltre, un crescente, ma comunque sempre inferiore rispetto ai canali informali, ricorso alle agenzie private e ai job center di istituzioni scolastiche e formative. In un mercato del lavoro esposto a complesse ricomposizioni e transizioni serve un player pubblico che sostenga tutti i processi di allocazione e di riallocazione della forza lavoro. I centri per l’impiego, ad esempio, trattano prevalentemente un’utenza debole (il 32% ha le medie inferiori) e riescono a condurre al lavoro poco più del 4% dell’utenza.

Una carenza di opportunità di qualità

La retribuzione di chi ha trovato lavoro grazie ai centri per l’impiego è in media 23.300 euro lordi all’anno, contro 35.000 di chi ha vinto un concorso pubblico o 32.600 di chi ha trovato lavoro nell’ambiente professionale. La quota di laureati che hanno trovato lavoro attraverso i Servizi per l’impiego è la più bassa (23%) dopo quella delle agenzie interinali (20%). Dunque, da un lato c’è un problema di carenza di opportunità di qualità e dall’altro l’onere di trattare un’utenza particolarmente fragile.
“Per un miglioramento complessivo del funzionamento del mercato del lavoro i centri per l’impiego devono essere potenziati anche nella loro interconnessione con le imprese, i servizi dell’orientamento, i servizi formativi, gli altri organismi operanti nell’intermediazione – aggiunge Fadda -. Ovvero, ai centri per l’impiego bisogna attribuire un ruolo attivo nel mercato del lavoro e offrire le condizioni per poterlo svolgere”.