Spesa alimentare: come si comportano gli italiani?

Come sta cambiando la spesa degli italiani? Nel 2023 l’82% degli italiani presterà più attenzione alle promozioni quando farà la spesa. un balzo di quattordici punti percentuali da gennaio 2022, quando a pensarla così era il 68% dei consumatori. A questo si aggiunge che il 75% dei cittadini dichiara che nei prossimi mesi mangerà più cibi cucinati a casa, e anche in questo caso la tendenza è in crescita, infatti a gennaio 2022 la quota si fermava al 66%. Si tratta di alcuni dati focalizzati sui modelli di consumo alimentari tratti dall’ultima rilevazione del Monitor continuativo elaborato dall’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca in Psicologia dei consumi e della salute dell’Università Cattolica di Cremona. 

Più propensi al risparmio donne e anziani

Il Monitor rileva poi come l’attenzione alle promozioni sia accentuata nelle donne (89% rispetto all’82% della media nazionale) e tra gli over 60 (87%), e meno tra gli uomini e i giovani (78% e 76%). Inoltre, le persone che si dicono attente agli sconti sono concentrate maggiormente al Sud e Isole (87%), mentre questo atteggiamento appare meno presente nel Nord-Est (75%). Allo stesso tempo, le persone che ammettono un umore triste sono un po’ meno propense ad attivarsi alla ricerca di promozioni (78%). Al contrario, si sale al 90% di soggetti attenti agli sconti se si restringe il campo a coloro che mostrano un generale atteggiamento ‘cospirazionista’.

Ma non si deroga sulla qualità

Il 37% dei consumatori acquisterà merce di seconda mano, una percentuale significativa e in rialzo di 5 punti da gennaio 2022, e il 36% dichiara che si affiderà più di prima alla Grande distribuzione, quota in crescita del 3%, e fenomeno particolarmente evidente nel Centro Italia (42%). Se dunque la caccia al risparmio nella spesa quotidiana è una tendenza in atto lo studio del Centro di ricerca della Cattolica di Cremona riesce a intercettare anche altre sfaccettature del consumatore, che comunque per il 75% sarà più attento alla qualità quando andrà a fare la spesa (+11% rispetto a gennaio 2022), e nella medesima misura, considererà, tra le priorità di scelta, la provenienza dei prodotti.
Insomma, più attenzione al risparmio, ma all’interno di una forchetta valoriale non facilmente valicabile.

La variabile cambia in funzione della situazione sociodemografica

“Oltre ai dati medi nazionali, basati cioè sulla popolazione generale, è interessante approfondire quelli che noi chiamiamo incroci, che servono a vedere come la variabile in gioco cambi in funzione della situazione sociodemografica o della condizione psicologica dei cittadini intervistati”, spiega la professoressa Guendalina Graffigna, Ordinario all’Università Cattolica e direttore dell’EngageMinds HUB. La ricerca di EngageMinds HUB è stata condotta su un campione di oltre 9000 italiani, rappresentativo della popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione, ed è stata realizzata con metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview).

Un cagnolino come foto profilo aiuta a trovare l’anima gemella

Se nella loro foto profilo degli utenti single iscritti ai portali di appuntamenti è presente un cagnolino il numero di possibilità di ricevere un match è più elevato. A quanto pare, i profili social in cui compaiono immagini di cani sono più interessanti, forse perché generalmente si tende a pensare che i proprietari di animali domestici siano più affidabili ed empatici, poiché dimostrano di avere capacità di prendersi cura di un altro essere vivente. È quanto ha scoperto una ricerca commissionata da The Guide Dogs for the Blind Association, condotta dagli scienziati del britannico Kennel Club, il club cinofilo più antico del mondo.

I profili in cui compaiono immagini di cani sono più interessanti

Il team di scienziati, guidato da Paul Martin, ha eseguito un sondaggio su mille adulti britannici iscritti a una applicazione o a un sito di incontri. E stando a quanto è emerso dall’indagine, circa i due terzi degli intervistati hanno riferito di trovare più interessanti i profili in cui comparivano immagini di cani.Il 60% del gruppo di intervistati, riferisce Agi, riteneva poi che possedere animali domestici fosse in generale un tratto associato a una maggiore predisposizione a instaurare una relazione stabile.

Più socievoli, attivi ed empatici

I proprietari di animali domestici venivano inoltre considerati più socievoli, attivi ed empatici. Il 50% degli intervistati ha infatti affermato che avrebbe scattato fotografie con un cane di amici o familiari per incrementare le possibilità di avviare una conversazione attraverso l’applicazione o il sito di incontri. Inoltre, il 59% dei proprietari di cani ha riferito di non avere intenzione di impegnarsi in una relazione con una persona non amante dei cani.

Le caratteristiche associate ai pet vengono proiettate sui proprietari

“L’aspetto interessante – ha commentato Paul Martin – riguarda le caratteristiche in generale associate ai nostri amici a quattro zampe, e che vengono poi proiettate verso i proprietari di animali domestici. Empatia, pazienza e affidabilità sono tutti tratti desiderabili anche per un potenziale partner. Avere un cane potrebbe fornire ulteriori possibilità per interagire nelle chat e nei siti di incontri”.
Ma non è tutto. “Avere un cane – ha aggiunto Helen Fisher, ricercatrice senior presso il Kinsey Institute in Indiana – rivela molti aspetti della personalità di qualcuno. Generalmente si tende a pensare che i proprietari di animali domestici siano più affidabili ed empatici, vista la capacità di prendersi cura di un altro essere vivente”.

Assegno unico 2023: quali sono le novità?

L’Inps ricorda che dal 1° marzo di quest’anno coloro che nel corso del periodo gennaio 2022-febbraio 2023 hanno presentato la domanda di Assegno unico e universale (AUU) per i figli a carico beneficeranno dell’erogazione d’ufficio senza dover presentare una nuova domanda. I dati della domanda, infatti, saranno automaticamente prelevati dagli archivi dell’Istituto, che procederà a liquidare il beneficio in continuità. I richiedenti dovranno tuttavia comunicare eventuali variazioni delle informazioni precedentemente inserite nella domanda trasmessa all’Inps prima del 28 febbraio 2023. Resta obbligatorio, invece, il rinnovo dell’Isee per poter usufruire dell’importo completo.

Da febbraio aumenta l’importo

Per quanto riguarda la decorrenza della prestazione, per le domande presentate entro il 30 giugno 2023, l’Assegno unico è riconosciuto a decorrere dal mese di marzo del medesimo anno. Una novità che riguarda il 2023 per l’assegno unico è l’aumento, in arrivo da febbraio 2023. La novità è legata all’età dei figli e all’Isee. L’Inps è infatti già pronto a riconoscere le maggiorazioni e la rivalutazione’ dell’Aassegno unico universale. E gli aumenti spettanti saranno erogati “a partire dalla mensilità di febbraio 2023, fatto salvo il diritto a eventuali conguagli spettanti a decorrere da gennaio 2023”’, annuncia il direttore generale dell’Istituto, Vincenzo Caridi. 

A chi spetta l’aumento e a quanto ammonta?

La manovra 2023 apporta significative modifiche agli importi spettanti alle famiglie beneficiarie di assegno unico con figli di età inferiore a un anno e per i nuclei familiari numerosi, con tre o più figli a carico, con la presenza di almeno un figlio in età compresa tra uno e tre anni. Ma a chi spetta l’aumento, e a quanto ammonta?
Per il 2023 è previsto l’aumento del 50% della maggiorazione forfettaria per i nuclei con almeno 4 figli, che sale a 150 euro mensili a nucleo. L’aumento del 50% è per i nuclei familiari numerosi, con tre o più figli a carico, limitatamente ai figli di età compresa tra uno e tre anni per i quali l’importo spettante per ogni figlio aumenta del 50% per livelli di Isee fino a 40.000 euro.

La manovra interviene anche in favore dei nuclei con figli disabili

L’aumento del 50%, da applicare agli importi spettanti secondo le fasce Isee di riferimento, è riservato anche per i nuclei familiari con figli di età inferiore a 1 anno. La manovra, riferisce Adnkronos,  interviene anche in favore dei nuclei con figli disabili, disponendo la corresponsione a regime degli aumenti riconosciuti nel corso del 2022. Gli importi definitivi saranno comunicati con una successiva circolare dell’Inps, anche per tenere conto della rivalutazione legata all’aumento del costo della vita. Rivalutazione che sarà resa nota con decreto ministeriale entro la metà di gennaio.

Liberi professionisti: perchè in Italia sono più numerosi?

Con 1.402.000 unità i liberi professionisti in Italia rappresentano il 28,5% del lavoro indipendente, segnando una crescita ininterrotta dal 2010, a parte la battuta d’arresto tra il 2018 e il 2021, che ha determinato una contrazione del 2%. Secondo il VII Rapporto sulle libere professioni in Italia – anno 2022, curato dall’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni, l’Italia si conferma il Paese con il maggior numero di liberi professionisti in Europa. Negli ultimi 10 anni registra infatti una crescita costante, frenata solo dalla pandemia, che tra il 2018 e il 2021 ha causato la chiusura di circa 24mila attività professionali. L’emergenza Covid si fa sentire soprattutto sui liberi professionisti con dipendenti, dove negli ultimi quattro anni si è registrata una flessione di quasi il 13%, soprattutto nel Nord Ovest e nel Centro Italia.

Saldi occupazionali positivi tra i dipendenti degli studi professionali

In questo ambito, tuttavia, si registrano saldi occupazionali sempre positivi tra i dipendenti degli studi: nel 2021 si contano oltre 41mila attivazioni nette, contro le 29mila del 2019. La progressiva crescita del comparto libero professionale e la parallela contrazione del lavoro autonomo hanno portato a una riconfigurazione strutturale dell’universo dell’occupazione indipendente in Italia. Se nel 2009 i liberi professionisti valevano solo il 20% del lavoro indipendente, oggi il loro peso sale al 28,5%.
In questo ambito i settori economici più dinamici sono quelli legati alle professioni scientifiche e tecniche e all’area sanità e istruzione

Donne professioniste crescono

L’onda lunga dell’emergenza Covid e l’incertezza di un quadro economico complesso ridisegnano geografia e caratteristiche demografiche della popolazione professionale in Italia. A farne le spese sono soprattutto i professionisti datori di lavoro, che calano di quasi il 13%, soprattutto nel Nord Ovest e il Centro. Tuttavia, i saldi occupazionali si mantengono in positivo, trainati dalla crescita dei contratti a tempo indeterminato. Se la crisi colpisce soprattutto le regioni del Centro (-3,7%) e del Nord (-2,8%), nel Mezzogiorno si assiste a un aumento del 2,6% del numero di professionisti, trainato dal balzo in avanti delle donne, che nello stesso periodo registrano un incremento del 4,6%.

Meno redditi per avvocati e architetti, più guadagni per i consulenti del lavoro

In calo risultano i redditi dei professionisti iscritti alle casse di previdenza private (-2%), con punte che arrivano fino al 6% tra avvocati, periti industriali e architetti, In controtendenza, i consulenti del lavoro che vedono incrementare i loro redditi del 26,5%.
Nelle professioni ordinistiche, riferisce Italpress, permane tuttavia un ampio divario reddituale di genere. Ancor più preoccupanti le prospettive del mercato del lavoro negli studi professionali che non riescono più ad attrarre neolaureati. 

Italiani e TV, un rapporto in continua evoluzione

In un contesto rinnovato dalle nuove abitudini affermate in seguito alla pandemia, lo schermo della TV riafferma il proprio potenziale, e diventa un hub sempre più dinamico e poliedrico attraverso il quale fruire di molteplici contenuti, e gestire varie attività. Visto l’alto tasso di innovazione tecnologica, ora è considerato come un supporto smart che va oltre la semplice trasmissione di programmi. Secondo il Trend Radar di Samsung, realizzato in collaborazione con l’istituto di ricerche Human Highway, il 64% degli utenti già utilizza lo schermo TV come un vero e proprio portale da cui accedere a contenuti on-demand, in streaming e online. Quanto al valore estetico e di design, il 61% della Gen Z lo ritiene un fattore importante nella scelta di un televisore.

Non più solo visione

Lo schermo TV ha diversificato le proprie funzioni, staccandosi dal vecchio immaginario di prodotto votato alla sola visione. La svolta obbligata dall’emergenza sanitaria ha spinto gli italiani a vivere maggiormente gli ambienti domestici, complice anche la più ampia disponibilità di contenuti on-demand e in streaming fruibili dagli Smart TV, ormai la principale TV di casa per il 77% degli italiani. Con la successiva definizione della roadmap governativa indicata in vista dello switch-off, che pone il nuovo orizzonte per l’adozione della nuova TV digitale al 20 dicembre 2022, le TV sono anche al centro di un processo di rinnovamento tecnologico, che ha spinto il 73% degli italiani a dotarsi di un nuovo apparecchio negli ultimi cinque anni.

Un hub da cui gestire diverse attività

Il ruolo dinamico della TV come hub da cui gestire diverse attività si evince anche dalla scelta degli utenti di collegare allo schermo di casa i propri dispositivi di intrattenimento, tra cui le console di gioco (46%), soprattutto per il 63% dei Gen Z e per il 56% dei Millennials. Il gaming si posiziona infatti all’interno dei tre contenuti maggiormente riprodotti degli italiani, preceduto solo dalla riproduzione di video di YouTube (49%) e dall’ascolto di musica in streaming, che accompagna il 38% degli italiani. Una donna su cinque, invece, sceglie di utilizzare la TV per dedicarsi al proprio benessere, avvalendosi dello schermo per seguire lezioni di fitness o di yoga (20%), o come sottofondo (66%). 

Nel futuro controllerà i consumi

Il cambio di paradigma spingerà sempre più utenti a considerare la TV come un punto cardine dell’ambiente casalingo. Al 70% degli intervistati, ad esempio, piacerebbe che aiutasse nel controllo dei consumi elettrici della casa, ricevendo sullo schermo anche consigli su come risparmiare. Ma la TV potrebbe anche diventare un collettore dello status di funzionamento degli altri elettrodomestici o apparecchi connessi (59%). Tra le altre possibilità, anche quella di essere avvisati e ricevere notifiche quando lavatrice o lavastoviglie hanno terminato i rispettivi cicli (54%), o quando nel frigorifero mancano determinati alimenti (51%).

Open Banking: i consumatori digitali italiani crescono del 20% 

Nel primo semestre 2022 rispetto al 2021in Italia si registra un incremento di oltre il 20% dell’utilizzo dei servizi di Open Banking, sia per quanto riguarda il consenso all’accesso ai conti sia per il processo di Access2Account. Secondo il Market Outlook sul fenomeno dell’Open Banking realizzato da CRIF, l’Italia, pur presentando un mercato meno sviluppato, e di dimensioni più modeste rispetto ad altri Paesi europei, segnala un’evoluzione culturale che vede il consumatore digitale acquisire più fiducia e dimestichezza con i processi della PSD2. I principali ostacoli da sormontare rimangono soprattutto di natura culturale, tecnologica e commerciale. Di recente, però, le banche hanno intrapreso iniziative per sfruttare a pieno le potenzialità di questo mercato.

Il profilo dei fruitori

L’utilizzo dell’Open Banking è più diffuso tra gli uomini (76%), rispetto alle donne (24%), mentre in termini di provenienza geografica circa il 13% degli utenti corrisponde a un profilo New to Country, utenti che non sono nati in Italia ma che vi hanno stabilito la propria residenza. Inoltre, più del 30% dei fruitori appartiene alla categoria New to Credit, ossia privi di una storia creditizia.
“Tale dato dimostra come questa tecnologia possa aumentare l’inclusione finanziaria, raccogliendo dati anche su profili che non possono affidarsi a un tracking creditizio pregresso”, spiega Elena Mazzotti, Head of Innovation & Strategy di CRIF.
Inoltre, circa il 70% di chi ha condiviso i propri dati di conto risulta percepire un reddito regolare e continuativo con un importo medio di circa 1.300 euro.

Transazioni per Food and Daily Spending le più frequenti

In merito alle uscite, mediamente il 28% del reddito è utilizzato per affitti, il 23% per rimborsi finanziari (mutui o prestiti), l’11% per spese assicurative.
Le transazioni effettuate in Food and Daily Spending sono poi le più frequenti per tutte le fasce d’età, mentre quelle relative a Hobby e tempo libero sono più comuni tra i giovani, e quelle categorizzate come Prestiti, tendenzialmente più presenti sui conti di soggetti più anziani. Queste osservazioni dimostrano come l’Open Banking possa rivoluzionare anche il calcolo della sostenibilità del debito, automatizzando il processo, neutralizzando eventuali tentativi di contraffazione di documenti reddituali e includendo evidenze su rendite non facilmente documentabili.

L’incremento del lending rate

Quanto al fabbisogno di credito, CRIF ha realizzato un’analisi basata su kpi e analytics proprietari, attraverso la quale è possibile individuare cluster di clientela che nel breve saranno più inclini a ricorrere a forme creditizie. Si nota un incremento nel lending rate (propensione all’acquisto di un prodotto di credito nei successivi 6 mesi) per diversi segmenti, tra cui è possibile rintracciare clienti con alte spese per attività sportive o wellness, clienti pluri-assicurati, clienti con alte spese per vestiario, clientela con profilo digital e altre categorie, che registrano comunque un incremento del lending rate superiore al 10%.

Nel 2022 il mercato immobiliare rallenta, ma resiste

Nel 2022 il fatturato immobiliare in Europa cresce del 10%, con i prezzi in salita spinti dall’inflazione. Nell’arco degli ultimi dodici mesi il volume totale degli investimenti in Europa ha raggiunto la cifra record di 387,3 miliardi di euro, superiore del 35%o rispetto al periodo 2020-2021.
Anche in Italia il fatturato cresce del +9,9%, e arriva a toccare 139 milioni di euro, anche se le transazioni residenziali sono in calo. Secondo l’European Outlook 2023, il mercato immobiliare europeo e quello italiano chiudono quindi il 2022 con un aumento simile dei fatturati. Le previsioni per il 2023 in Italia sono stimate a 148 miliardi di euro (+6,5%), collocando il nostro Paese al 2° posto fra i cinque principali mercati immobiliari europei.

In Europa fatturato a +9,9%

Le previsioni per la fine del 2022 nell’area EMEA sono fra i 320 e i 305 miliardi di euro, con un calo compreso fra il -10% e il -15% rispetto al 2021, chiuso con circa 360 miliardi di euro. La solidità dei mercati immobiliari nei principali Paesi europei, rispetto allo scenario congiunturale futuro, previsto in calo e ancora carico di incertezza, viene confermata dalle previsioni sui fatturati delle cinque principali nazioni, Germania, Francia, Spagna, Italia e Regno Unito. Nella media dei cinque Paesi la crescita nel 2022 è stimata a +12,1% rispetto al 2021, mentre allargando la stima ai 28 Paesi UE la media del fatturato è del +9,9%.

In Italia compravendite residenziali a -5,3%

Un contributo importante alla crescita dei fatturati globali in termini di valore arriva dalla variazione positiva dei prezzi registrata quest’anno, a cui ha contribuito l’aumento dell’inflazione degli ultimi mesi. Nei cinque Paesi più industrializzati, si prevede per il comparto residenziale un aumento medio del 4,5% dei prezzi delle case a fine 2022, mentre la stima per l’anno successivo è fissata al +6,5% medio annuo.  Sul fronte delle transazioni immobiliari residenziali, l’Italia dopo l’eccezionale performance del 2021, chiuderà l’anno in corso in leggero calo, con una diminuzione degli scambi del -5,3%, attestandosi sulle 710 mila compravendite. Per il 2023 si prevede una ulteriore discesa, che dovrebbe comunque restare inferiore al 6% (-5,6%) con circa 670 mila compravendite.

Segnali positivi arrivano dagli investitori 

Il comparto retail continua a offrire un quadro piuttosto travagliato sul fronte dei prezzi, che nel 2022 registrano una crescita dello 0,8% annuo, mentre la previsione per il 2023 è di un aumento del 4,3%. Segnali positivi per il comparto retail arrivano dagli investitori, che nella prima parte dell’anno corrente, rispetto al primo semestre 2021, aumentano del 31% i volumi, raggiungendo un totale di 10,3 miliardi di euro. Per quanto riguarda il comparto della logistica, le previsioni sulla chiusura del 2022 sono positive, anche se più prudenti rispetto agli anni passati. Nella media generale i valori dovrebbero aumentare del 2,9% rispetto all’anno scorso, mentre per il 2023 si prevede un aumento di un punto percentuale rispetto al 2022.

L’Italia che verrà: come saranno le famiglie del prossimo futuro?

Piccole, spesso composte da una coppia senza figli o da un singolo. Più in là con gli anni e soprattutto in deciso calo. Insomma, il futuro del nostro Paese, per quanto riguarda l’andamento demografico, non è certo incoraggiante. Il quadro tracciato dall’Istat, aggiornato al 2021, conferma la presenza di un potenziale quadro di crisi. La popolazione residente è in decrescita: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 a 57,9 milioni nel 2030, a 54,2 milioni nel 2050 fino a 47,7 milioni nel 2070. SI tratta di decrementi importanti, che indicano anche che ci saranno sempre meno bambini. Per questo,  il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050.

Single in aumento

L’andamento tracciato dall’Istituto di Statistica prevede un deciso aumento delle le famiglie con un numero medio di componenti sempre più ridotto. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà. Ancora, la popolazione cresce di età: nel 2050 la quota di individui di 65 anni o più toccherà il 34,9% (oltre un terzo della popolazione), rispetto al 23,5% odierno. Un altro dato in aumento è il numero dei single: attualmente le persone che vivono sole sono 8,5 milioni, ma diventeranno 10,2 milioni nel 2041.

Quanti saremo?

Sulla base dello scenario di previsione “mediano” è attesa una decrescita della popolazione residente nel prossimo decennio: da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021 (punto base delle previsioni) a 57,9 milioni nel 2030, con un tasso di variazione medio annuo pari al -2,5‰. Nel medio termine la diminuzione della popolazione risulterebbe più accentuata: da 57,9 milioni a 54,2 milioni tra il 2030 e il 2050 (tasso di variazione medio annuo pari al -3,3‰). Nel lungo termine le conseguenze della dinamica demografica prevista sulla popolazione totale si fanno più importanti. Tra il 2050 e il 2070 la popolazione diminuirebbe di ulteriori 6,4 milioni (-6,3‰ in media annua). Sotto tale ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 47,7 milioni nel 2070, conseguendo una perdita complessiva di 11,5 milioni di residenti rispetto a oggi. Le previsioni demografiche sono, per costruzione, tanto più incerte quanto più ci si allontana dall’anno base. L’evoluzione della popolazione totale rispecchia tale principio già dopo pochi anni di previsione. Nel 2050 il suo intervallo di confidenza al 90% (ovvero che il suo presunto valore cada tra due estremi con probabilità pari al 90%) oscilla tra 51,1 e 57,5 milioni. Venti anni dopo si è tra 41,2 e 55,1 milioni.

Tre aziende su 4 non trovano i profili ricercati: +120% rispetto a 10 anni fa

È un fenomeno che coinvolge anche l’Italia, dove la percentuale complessiva è di poco inferiore alla media globale, nonché una minaccia che può mettere un freno alla crescita economica: 3 aziende su 4 non riescono a trovare i profili professionali di cui hanno bisogno. In particolare, secondo una ricerca internazionale ripresa dal World Economic Forum, la percentuale è pari al +120% rispetto al 2012, quando le aziende faticavano a trovare ‘solo’ il 34% dei lavoratori, e +8,7% sul 2021. Secondo il report Upwork’s Future Workforce, il 70% delle organizzazioni ha previsto un aumento del personale entro i prossimi sei mesi, ma a patto che si riescano a trovare i profili specializzati. E gli ambiti di lavoro dove è più difficile scovare i talenti sono Information Technology, sales & marketing, manufatturiero e front office.

Il 43% delle aziende lamenta carenze di competenze

Le aziende si trovano costrette quindi ad affrontare nuove sfide nello scenario globale post-pandemico: il Talent Shortage e lo Skill Shortage, ovvero, la mancanza di competenze tecniche e personali adatte a ricoprire una nuova posizione lavorativa. La ricerca The skillful corporation, redatta da McKinsey, ha messo in evidenza come oggi il 43% delle aziende lamenti carenze di competenze all’interno della propria forza lavoro. Percentuale che sale all’87% se si dilata l’arco temporale fino ai prossimi 5 anni. Non sorprende che per il 53% delle organizzazioni l’azione più utile da intraprendere sia quella di reskillare i dipendenti, seguito dall’assunzione di nuove risorse (20%) e la ridistribuzione della forza lavoro con nuovi incarichi e posizioni (20%).

Quali sono le soft skill più ricercate dagli headhunter?

Secondo gli esperti di ricerca e selezione del personale di Zeta Service attualmente le prime 2 del le 5 top soft skill più ricercate dagli headhunter sono Smart Teamworker, ovvero la capacità di collaborare per portare a termine un progetto anche da remoto, e il Time Management. Riuscire a definire in anticipo gli obiettivi, focalizzando il lavoro verso attività definite e in grado di portare risultati, aiuterà la risorsa a ottimizzare il lavoro.

Da Adaptability a Knowledge Management

Seguono l’Adaptability (sapersi adattare a contesti lavorativi mutevoli, essere aperti alle novità, a nuovi incarichi ed essere disponibili a collaborare con persone con punti di vista anche diversi dal proprio), il Critical Thinking (riuscire a trasmettere le criticità attuali in modo chiaro, accurato e preciso, e saper trovare una soluzione alle criticità che si stanno incontrando), e il Knowledge Management, l’abilità nell’acquisire, organizzare e riadattare dati e informazioni provenienti da fonti diversi. I lavoratori che hanno queste soft skills sanno analizzare le problematiche per poter ricercare le informazioni necessarie a risolvere le necessità. E organizzarle e condividerle in base alle priorità.

Inflazione e imprenditoria: in tempi difficili sono possibili nuovi business?

Il 2022 si sta mostrando un anno ricco di avvenimenti, dall’aumento dei contagi da Covid-19 in tutto il mondo alla guerra in Ucraina, l’aumento dei prezzi e del costo della vita, e l’inflazione. In questo contesto, difficile ma portatore di sfide, quali sono le ripercussioni sull’imprenditorialità? Risponde la nuova indagine Ipsos su imprenditoria e inflazione. In media, a livello internazionale, tre intervistati su dieci (31%) hanno avviato un’attività imprenditoriale in passato e una percentuale analoga (29%) spera di farlo nel prossimo futuro. In Italia si registrano percentuali minori: il 23% afferma di aver avviato un’attività imprenditoriale in passato e il 26% sta prendendo in considerazione di farlo, ma il 51% non ha mai avviato un business.

La barriera dei finanziamenti

Al pari dell’attività, anche le aspirazioni imprenditoriali variano notevolmente nei 26 Paesi esaminati. La probabilità di avviare un’attività è più alta in molti Paesi dell’America Latina, in Sudafrica e in India, ed è significativamente più bassa in Corea del Sud, Francia, Svezia, Belgio, Paesi Bassi e Giappone. Anche in Italia non si registrano percentuali elevate, infatti, soltanto il 19% degli intervistati pensa di avviare un’attività imprenditoriale nei prossimi due anni, e la principale barriera è rappresentata dai finanziamenti, citati dal 39% degli intervistati.

Meglio lavorare per qualcun altro

In media, a livello internazionale, il 29% degli intervistati avvierebbe un’attività imprenditoriale perché potrebbe contare sui programmi sociali del proprio Paese al fine di mitigare i rischi. Percentuale che in Italia si abbassa al 22%. Allo stesso modo, il 35% dei rispondenti a livello internazionale si dichiara demotivato ad avviare un’attività imprenditoriale, ritenendo preferibile lavorare per qualcun altro, percentuale che in Italia si alza al 41%.  Analizzando, invece, fattori come il supporto del Governo, i tassi d’interesse e l’inflazione, in che misura questi contribuiscono al successo di nuove attività imprenditoriali? 

Inflazione, tassi d’interesse e supporto del Governo

Il 68% degli italiani considera il supporto del Governo il principale fattore nel determinare il successo di una nuova iniziativa imprenditoriale, percentuale molto più alta rispetto alla media internazionale (56%). Al tempo stesso, però, soltanto il 30%  ritiene che il Governo del proprio Paese stia facendo un buon lavoro nel promuovere l’imprenditorialità e assistere attivamente gli imprenditori, percentuale che si abbassa al 19% in Italia.  Subito dopo si posizionano i tassi d’interesse: il 47% degli italiani li ritiene un fattore di successo, una percentuale leggermente più bassa rispetto alla media internazionale (50%). E soltanto il 26% degli italiani, la quota più bassa tra tutti i Paesi esaminati, considera l’inflazione un fattore determinante per il successo di un’iniziativa imprenditoriale. Nel resto dei Paesi la media è pari al 40%.