Effetto pandemia: sul lavoro dominano insicurezza e incertezza 

Non è una novità: almeno a partire dalla ‘grande recessione’ del 2008 l’Italia è attraversata da un’ansia e un’insoddisfazione sociali molto ampie, e destinate a non essere scalfite nel tempo. Ma più in particolare, nei mesi tra prima e seconda ondata del coronavirus il rapporto curato da Lavoro&Welfare e lo Studio Labores sull’occupazione rileva un livello di incertezza sul futuro e insicurezza sociale connessa al lavoro molto elevata. Solo meno del 20% degli intervistati si dichiara del tutto sicuro e al riparo dai rischi connessi al lavoro. Il sentimento collettivo d’insicurezza resta dunque molto radicato, ed è connesso non solo alla precarietà lavorativa, ma rende conto di un’estesa vulnerabilità sociale che attraversa una parte rilevante dei lavoratori.

“Un rimescolio profondo nel senso del lavoro e nel vissuto dei lavoratori”

“La pandemia – commenta Mimmo Carrieri, docente di Sociologia economica e Sociologia delle relazioni di lavoro all’Università La Sapienza – ha comportato un rimescolio profondo nel senso del lavoro e nel vissuto dei lavoratori, ancora non concluso e che attende di essere tradotto in indirizzi nuovi nelle politiche pubbliche e nei comportamenti degli attori sociali”. Se a inizio 2021 si poteva misurare il costo della crisi dovuta al Covid-19 in quasi un milione di occupati, alla fine dell’anno tale costo si è attestato attorno alle 300.000 unità. Secondo i dati del rapporto, l’Italia, sia nel secondo sia nel terzo trimestre 2021, ha evidenziato però una dinamica migliore della media della zona Euro, rispettivamente + 1,4% e +1,2% contro +1,2% e +1,0%, e dei Paesi assunti a confronto, Germania, Polonia, Francia, Spagna.

Dipendenti: nel secondo semestre 2021 stesso livello del 2019

“Quanto ai dipendenti permanenti, i dati mostrano che nel secondo semestre 2021 si sono assestati praticamente sullo stesso livello del 2019, ma non si tratta tanto di un recupero trainato dalla creazione di nuovi posti di lavoro quanto della riattivazione, in buona parte, di posti pre-esistenti grazie al rientro di molti lavoratori dalla Cassa integrazione”, aggiunge Carrieri.
Anche per i dipendenti a termine il recupero ha permesso di ritornare a partire da settembre 2021 sui valori del 2019.
Non si tratta quindi di una nuova crescita della precarietà, ma del recupero di un livello analogo a quello raggiunto in precedenza a ridosso della pandemia, riferisce Italpress.

Lavoratori indipendenti: nessun segnale di recupero del pre-pandemia

Per quanto riguarda i lavoratori indipendenti, il trend di contrazione è stato congiunturalmente accelerato dalla pandemia in coincidenza del periodo del primo lockdown. Poi è proseguito, “pur con un’intensità via via più modesta, senza finora mettere in evidenza alcun segnale di recupero delle posizioni pre-pandemiche”, sottolinea Carrieri.
Secondo Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e presidente di Lavoro&Welfare, “il lavoro a tempo determinato è stato vittima del blocco dei licenziamenti che ha riguardato esclusivamente il lavoro stabile. Una diminuzione prevedibile alla quale è seguito, nei mesi recenti, una ripresa che lo colloca al livello del 17% del totale dell’occupazione dipendente”.