Eventi globali di shopping online: una grande opportunità per i brand

Classificare i festival e gli eventi di shopping online globali come ‘occasioni sporadiche per generare entrate aggiuntive’ è un errore. Questi eventi potrebbero essere il prossimo settore destinato a evolversi insieme all’e-commerce, poiché generano grandi entrate per i brand. La partecipazione a questi eventi può essere infatti molto vantaggiosa per chi è alla ricerca di opportunità internazionali. Questo perché i brand possono facilmente affermare la loro presenza online su piattaforme globali, e con i dati giusti, testare e monitorare la performance dei prodotti su ogni piattaforma e mercato. In modo da decidere dove allocare le risorse e investire in pubblicità e promozioni per migliorare il ROI complessivo.

Dal Prime Day al Black Friday al Cyber Monday

Durante le 48 ore del Prime Day di Amazon dello scorso anno le vendite totali online negli Stati Uniti hanno superato 11 miliardi di dollari. E i retailer hanno totalizzato vendite superiori a 1 miliardo di dollari all’anno, per un aumento del 29% nelle vendite online rispetto a un giorno medio di giugno.
Sebbene l’Amazon Prime Day sia attualmente disponibile solo in alcuni mercati, il suo impatto aumenterà con l’aggiunta di nuove categorie, brand e paesi, grazie al crescente interesse dei consumatori. Quanto al Black Friday, oggi è l’esperienza di shopping più attesa al mondo. Secondo NielsenIQ Foxintelligence, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito hanno registrato un picco di vendite online durante il Black Friday del 2021. Un trend intensificato nel successivo Cyber Monday, soprattutto negli acquisti di elettrodomestici e cellulari.  

L‘Asia dei Double Days 

Il Double 11 (o Singles Day, che si svolge l’11/11) e altri Double Days (1/1, 2/2…) sono gli eventi online più significativi in Asia. I giganti cinesi dell’e-commerce Alibaba e JD.com hanno generato vendite per 139 miliardi di dollari durante il Double 11 nel 2021. Sebbene il loro impatto rimanga visibile soprattutto in Asia, i Double Days stanno iniziando a guadagnare spazio in Medio Oriente, in particolare in Turchia. L’Asia ospita mercati globali pionieristici dell’e-commerce come la Cina e la Corea del Sud e genera il 50% delle vendite online globali. Per questo motivo, i brand che cercano opportunità in Asia dovrebbero prestare molta attenzione a questi eventi di shopping online.

Sviluppare una strategia e-commerce di successo

L’online è sicuramente l’ambiente perfetto per trovare prezzi più bassi. I manufacturer devono tenere d’occhio le nuove opportunità derivanti dagli eventi globali di e-commerce, che possono trasformarsi in una nuova fonte di reddito e crescita. I brand devono affrontare questi eventi in modo strategico, identificando i prodotti e le categorie più richiesti, realizzando campagne pubblicitarie e promozioni efficaci e ottimizzando i canali di distribuzione allineati con i consumatori, i mercati, le piattaforme e i tempi giusti. Metriche chiave come le vendite giornaliere, il monitoraggio dei prezzi e delle promozioni, il posizionamento dei prodotti sugli scaffali digitali consentono un approccio olistico alla performance di vendita online e garantiscono il successo della strategia di e-commerce.

Digitalizzazione: i vantaggi per la gestione delle risorse umane

Se ancora non tutte le aziende hanno recepito le novità più consistenti che la digitalizzazione e l’AI mettono a disposizione della gestione del personale, come ogni campo dell’Impresa 4.0 anche il settore HR può ricavare consistenti benefici dalla digitalizzazione. TeamSystem, un gruppo italiano impegnato nel fornire soluzioni digitali ad aziende, liberi professionisti e associazioni, ha lanciato una guida sulla digitalizzazione nella gestione delle risorse umane, in modo da fare chiarezza sugli aspetti più discussi all’interno del dibattito professionale. 

Il team 4-D: diversificato, disperso, digitale e dinamico

La guida redatta da Alessandra Venieri aiuta quindi tutti i destinatari B2B del prodotto a comprendere quali sono i vantaggi della digitalizzazione e quale potrebbe essere il ritorno economico per l’azienda. Il manuale parte infatti da una constatazione: il lungo e difficile periodo che il mondo del lavoro sta attraversando rischia di interferire con i processi di team building e di attaccamento al brand. Bisogna, a questo punto, creare condizioni favorevoli per superare le criticità. L’obiettivo più condiviso è attualmente quello di creare un team 4-D, diversificato, disperso, digitale e dinamico. In questo contesto rientra lo strumento digitale, che è un catalizzatore formidabile di questi processi. Nel linguaggio di settore è infatti definito ‘contesto favorevole’.

Attenzione prolungata e duratura sul dipendente

Il primo passo da compiere è porre un’attenzione prolungata e duratura sul dipendente. L’ufficio delle risorse umane non dovrebbe semplicemente occuparsi delle selezioni, ma anche spingere i dipendenti verso il potenziamento delle loro conoscenze e competenze, soprattutto di quelle immediatamente spendibili sul mondo del lavoro. È il concetto di Learning Organization, che fra le altre cose, rivoluziona totalmente il concetto di formazione in azienda. Questa dovrebbe essere pratica prima che teorica, flessibile e sempre ancorata alla realtà. Lo scopo è quello di rendere appagato il collaboratore e garantire che le sue idee diano un reale contribuito al business aziendale. Questo particolare tipo di formazione permette non solo un maggior attaccamento alla vision aziendale, ma fornisce anche un plus nelle relazioni con l’esterno.

L’ufficio HR deve diventare un hub per l’innovazione

Una delle disfunzioni maggiori nelle aziende italiane è la poca chiarezza sulle mansioni e la suddivisione degli incarichi. Solo a partire da una distribuzione chiara e inequivocabile è possibile impostare target, obiettivi e raccogliere dati utili alla vita dell’azienda. In base a questi ultimi, infatti, si dovrebbe calibrare l’offerta formativa per il dipendente, in modo che sia sempre mirata a colmare eventuali lacune o carenze. Per rendere possibile tutto ciò è importante che l’ufficio HR diventi un hub per l’innovazione. Le risorse umane dovrebbero essere quindi affiancate da strumenti di business intelligence, in modo da posizionare l’azienda sui mercati in modo corretto ed efficace.

Attacchi ransomware: un’azienda su 10 pagherebbe il riscatto

La parola ransomware è ormai nota nel mondo aziendale, e secondo quanto emerge dal nuovo report di Kaspersky, ‘How business executives perceive ransomware threat’, i dirigenti dell’88% delle organizzazioni vittime di un attacco ransomware sceglierebbero di pagare il riscatto se dovessero subirne un altro. Tra le organizzazioni che non ne sono ancora state vittime, il 67% sarebbe disposto a pagare, ma non subito. Sebbene i ransomware rimangano una delle minacce più diffuse, con due terzi delle aziende che hanno già subito un attacco, il pagamento del riscatto sembra essere percepito dai dirigenti come un modo sicuro di affrontare il problema.

Il modo più efficace per riavere i propri dati

Le aziende che hanno già subito un attacco sono anche più propense a pagare prima possibile per ottenere l’accesso immediato ai propri dati (33% delle aziende già attaccate in passato contro il 15% delle aziende che non sono mai state vittime), o a pagare dopo un paio di giorni di tentativi di decriptazione non andati a buon fine (30% contro il 19%). I dirigenti aziendali che hanno già pagato un riscatto sembrano ritenere che questo sia il modo più efficace per riavere i propri dati, e il 97% di loro è disposto a farlo di nuovo. La disponibilità delle aziende a pagare potrebbe essere attribuita alla scarsa consapevolezza su come rispondere a tali minacce, o al troppo tempo necessario a ripristinare i dati, poiché l’attesa prolungata potrebbe far perdere più denaro di quello impiegato per pagare il riscatto.

Una minaccia molto seria per le aziende

I ransomware rimangono una minaccia reale per la sicurezza informatica. Il 64% delle aziende conferma di aver subito un incidente di questo tipo mentre il 66% prevede che prima o poi ne subirà uno simile, ritenendolo più probabile rispetto ad altri tipi di minacce (attacchi DDoS, alle supply-chain, APT, cryptomining o cyberspionaggio).
“La nascita di nuovi sample e l’utilizzo dei ransomware da parte di alcuni gruppi APT in attacchi avanzati li ha resi una minaccia molto seria per le aziende – dichiara Sergey Martsynkyan, VP, Corporate Product Marketing di Kaspersky -. Anche un’infezione accidentale può causare gravi danni e compromettere la continuità aziendale, ecco perché i dirigenti sono costretti a prendere decisioni difficili in merito alla possibilità di pagare il riscatto”.

Non è mai consigliabile inviare denaro ai criminali

“Tuttavia – aggiunge Martsynkyan – non è mai consigliabile inviare denaro ai criminali, in quanto ciò non garantisce la restituzione dei dati crittografati e incoraggia gli attaccanti a ripetere l’operazione. Noi di Kaspersky stiamo lavorando duramente per aiutare la comunità aziendale a evitare questo tipo di situazioni. È importante che le aziende seguano i principi di sicurezza di base e cerchino soluzioni di sicurezza affidabili per ridurre al minimo il rischio di un incidente ransomware”.

Rientro in ufficio, c’è tutto un galateo da adottare

Lo smartworking “a tappeto”, con il normalizzarsi della situazione sanitaria, sembra destinato a terminare per moltissimi lavoratori italiani. E, anche se il rientro in sede non sarà totale, sono comunque moltissime le persone che dovranno rientrare alla propria scrivania, magari combinando giornate in presenza con l’home working. Certo è che, dopo circa due anni, non è davvero facile riabituarsi a questa ritrovata normalità. Ecco quindi che gli esperti hr di InfoJobs, la piattaforma leader in Italia per la ricerca di lavoro online, hanno stilato un piccolo galateo del rientro in ufficio, con poche e semplici indicazioni per “ri-abituarci” a vivere in un contesto lavorativo non più confinato fra le mura domestiche, ma che non può prescindere dalla coesistenza con la dimensione online. La prima regola, riferisce Adnkronos, è che serve organizzazione e, se la la modalità di lavoro è ibrida, servono pianificazione, flessibilità e rispetto delle esigenze di tutti. L’organizzazione del lavoro, soprattutto di team, dovrà necessariamente conciliare le esigenze di chi lavora da remoto e di chi è presente in ufficio, pianificando con attenzione orari e spazi e utilizzando al massimo le opportunità della tecnologia, con un approccio flessibile alla gestione dei contrattempi, piccoli e grandi, che possono inevitabilmente presentarsi.

Occhio all’outfit e al savoir faire

Altrettanto importante è l’outfit, che deve essere consono al luogo e al ruolo: addio perciò a tute e pigiami sfoggiati durante il lavoro casalingo. Anche se è vero che ciò che conta è il rendimento, il look da ufficio rimane ciò che cattura lo sguardo al primo impatto, sebbene il 69% degli intervistati non ritenga che l’abito possa incidere sulla produttività. Venendo alle regole successive, InfoJobs sottolinea l’importanza del rispetto, per se stessi e gli altri. In primis, occorre essere ligi con l’orario di lavoro: per ciò che concerne l’organizzazione in ufficio, vanno considerati il più possibile gli orari “standard”. Se si tratta di un’eccezione o di una emergenza, si può anche sforare, ma meglio attenersi alle ore canoniche. Ancora, bisogna tenere a mente che la propria postazione di lavoro non è un’isola. Occhi quindi al tono della voce: ci sono colleghi (e capi) ed è preferibile adottare un tono di voce adeguato, per non disturbare ma anche per mantenere riservate le proprie conversazioni. Stesso discorso per chi parla dall’altra parte dello schermo: le cuffie in ufficio non sono un optional, ma la base del rispetto. Per stare insieme, poi, pause caffè o pranzi, sempre nel rispetto delle regole della nuova normalità, sono momenti preziosi di confronto con i colleghi. Permettono di esplorare la persona, oltre il professionista, di creare legami che possono poi sfociare in amicizie, ma anche di risolvere a quattr’occhi dubbi e problemi di lavoro. Privacy: la postazione di lavoro non è la scrivania di casa. Meglio far attenzione a non lasciare oggetti personali, documenti riservati o pc attivi, soprattutto in open space o scrivanie in condivisione. 

Lavorare anche divertendosi

La lista delle buone norme di galateo prosegue evidenziando che è meglio non fare sguardi rilevatori: non si è più protetti dallo schermo del computer di casa, ma si è in un ambiente condiviso, anche davanti a una telecamera durante le riunioni o le call. Infine, sì al bilanciamento comunque fra vita privata e professionale, sempre grazie una buona organizzazione, e soprattutto sì alla passione, fondamentale per avere successo in ogni tipo di lavoro. 

È la pizza il cibo più popolare su Internet

Con più di 22 miliardi di visualizzazioni su TikTok, e 59,1 milioni di hashtag su Instagram, è la pizza il cibo più fotografato e condiviso sui social. E il volume di ricerca mensile su Google per la pizza è in media di 13,6 milioni di ricerche nel mondo e 450mila in Italia. È quanto emerge da una ricerca di Lenstore, che ha analizzato i 100 cibi più cliccati su TikTok, Instagram e Google per scoprire quali sono quelli più popolari sui social in Italia e nel mondo. E dopo la pizza, al secondo posto tra i cibi più popolari su Internet c’è il gelato, che conta 43,9 milioni di hashtag su Instagram e 28 miliardi di visualizzazioni su TikTok. Il sushi occupa il terzo posto in classifica, con circa 7,5 miliardi di visualizzazioni su TikTok, e 32,1 milioni di hashtag su Instagram.

I cibi meno popolari

La ricerca mostra che è l’agnello il cibo meno cliccato sui social e su Google, con 558 mila hashtag su Instagram e 54 milioni di visualizzazioni su TikTok. Il volume di ricerca mensile su Google per l’agnello corrisponde a 880 ricerche in Italia e 201mila ricerche nel mondo. Al secondo e al terzo posto tra i cibi meno popolari sui social si classificano il pollo grigliato (1,1 milioni di hashtag su Instagram e 116 milioni di visualizzazioni su TikTok), e la salsa di mele (290 mila hashtag su Instagram e 815 milioni di visualizzazioni su TikTok), riporta Ansa.

…e quelli del futuro

Ma Lenstore ha anche provato a prevedere il futuro, stilando una terza classifica, quella relativa ai cibi che saranno più popolari su Internet nel 2025 in Italia e nel mondo. E la pizza è ancora in testa, seguita da sushi e mango nella lista italiana, e con il secondo e terzo posto invertiti, da mango e sushi nella lista mondiale. Ma classifiche a parte, perché fotografare e guardare le foto di cibo? 

Perché ci piace guardare il cibo su internet?

 “Per anni siamo stati esposti a immagini di cibo nelle nostre routine quotidiane – spiega Abigail Cockroft, di Giles Christopher Photography -. Ma nulla ha mai avuto su noi lo stesso impatto che ha avuto il fenomeno #foodporn sui social”. Con l’esplosione dei social, i food blogger di tutto il mondo hanno infatti cominciato a pubblicare i loro scatti senza restrizioni. All’improvviso questo tipo di scatti è diventato sempre più popolare e richiesto – continua la fotografa -, poiché mostrava un modo meno formale e più ‘social’ di presentare online cibi e bevande, alludendo al fatto che tutti possono cucinare e godere del cibo”.

Le minacce digitali del 2022. Il report annuale di Acronis

Nel 2021 aumenta la frequenza dei cyber attacchi ad aziende e privati. Durante la seconda metà dell’anno solo il 20% delle aziende ha affermato di non aver subito attacchi informatici, contro il 32% del 2020. E nel 2022 la percentuale è destinata a non diminuire.  Il Report annuale sulle minacce digitali per il 2022 di Acronis conferma il phishing come il principale vettore di attacco, e sottolinea la sempre maggiore efficienza dei criminali informatici e l’impatto degli attacchi su Pmi e MSP. 
In particolare, i rischi che corrono i provider di servizi gestiti (MSP) non sono trascurabili. Gli attacchi alla supply chain perpetrati contro gli MSP sono infatti particolarmente devastanti, perché consentono ai criminali di accedere alle attività degli MSP e dei loro clienti. E un attacco riuscito di questo tipo causa la paralisi di centinaia o migliaia di Pmi.

Il phishing è in cima alla classifica da prima della pandemia

Secondo Acronis il 94% dei malware viene diffuso tramite e-mail con tecniche di social engineering che ingannano gli utenti portandoli ad aprire link o allegati dannosi. Il phishing quindi è in cima alla classifica da prima della pandemia, e la sua crescita è incessante. Solo quest’anno Acronis ha riferito di aver bloccato il 23% in più di e-mail e nel terzo trimestre del 2021 il 40% di e-mail contenenti malware rispetto al secondo trimestre dello stesso anno. Gli autori del phishing elaborano poi nuovi stratagemmi e passano ai sistemi di messaggistica. Per impadronirsi degli account, le nuove tecniche puntano agli strumenti di autenticazione OAuth e a più fattori (MFA).

Ransomware, la minaccia numero uno per grandi aziende e Pmi

Per bypassare i più diffusi sistemi anti-phishing vengono utilizzati messaggi di testo, Slack, chat di Teams e altro, sferrando attacchi di tipo BEC che causano la compromissione delle e-mail aziendali.
Quanto al ransomware, resta la minaccia numero uno sia per le grandi aziende sia per le Pmi. Gli obiettivi più ambiti sono il settore della PA, la Sanità, la produzione manifatturiera e altre strutture strategiche. Malgrado i recenti arresti, quello perpetrato tramite ransomware continua a essere uno degli attacchi informatici più redditizi. Acronis stima che i danni causati dal ransomware supereranno i 20 miliardi di dollari prima della fine dell’anno.

Criptovalute: i malware si appropriano degli indirizzi dei portafogli digitali

Le criptovalute sono tra le preferite dai pirati informatici. Una realtà recente è quella degli infostealer e dei malware che si appropriano degli indirizzi dei portafogli digitali. È prevedibile che nel 2022 un numero crescente di questi attacchi vada a colpire gli smart contract, i programmi che costituiscono la base fondante delle criptovalute. Secondo il Report di Acronis aumenterà però anche la frequenza degli attacchi contro le app Web 3.0, così come quella dei sofisticati attacchi flash loan, grazie ai quali verranno prelevati milioni di dollari dalle pool di criptovalute. In termini di Cyber Security il 2021 è stato l’anno peggiore mai registrato, non solo per numerose organizzazioni ma per intere nazioni, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, oggi impegnati a contrastare la pandemia di criminalità informatica internazionale.

I lettori imparano a riconoscere le fake news come i fact-checker

La capacità di giudizio fornita da gruppi di lettori normali può essere efficace quanto il lavoro dei fact-checker professionisti. Social media e giornali utilizzano infatti fact-checker per distinguere le notizie vere e false, ma il loro lavoro può essere parziale. Uno studio del MIT, pubblicato su Science Advances, suggerisce un approccio alternativo, che utilizzi gruppi relativamente piccoli e politicamente equilibrati di lettori laici per valutare i titoli e condurre frasi di notizie. Anche i lettori comuni, insomma, stanno imparando a distinguere le notizie vere da quelle false. Lo dimostra l’esperimento del MIT, che ha coinvolto 1.128 residenti negli Stati Uniti utilizzando la piattaforma Mechanical Turk di Amazon.

Esaminate oltre 200 notizie segnalate dagli algoritmi di Facebook

Lo studio ha esaminato oltre 200 notizie che gli algoritmi di Facebook avevano segnalato per un controllo, e le valutazioni medie dei lettori si avvicinavano molto alle valutazioni dei fact-checker professionisti.
“Questi lettori non sono stati addestrati al fact-checking e stavano solo leggendo i titoli e le frasi iniziali, e anche così sono stati in grado di eguagliare le prestazioni dei fact-checker”, affermano i ricercatori. I partecipanti all’esperimento, riporta Agi, hanno anche svolto un test di conoscenza politica e un test della loro tendenza a pensare in modo analitico. Nel complesso, le valutazioni delle persone meglio informate sulle questioni civiche e impegnate in un pensiero più analitico erano più strettamente allineate con i fact-checker. 

Un nuovo approccio promettente agli strumenti anti-disinformazione

“Non c’è niente che risolva il problema delle notizie false online – afferma David Rand, professore al MIT Sloan e coautore senior dello studio. Ma stiamo lavorando per aggiungere approcci promettenti al kit di strumenti anti-disinformazione”.
Sebbene all’inizio possa sembrare sorprendente che una folla di 12-20 lettori possa eguagliare le prestazioni dei verificatori di fatti professionisti. In un’ampia gamma di applicazioni è stato riscontrato che gruppi di laici eguagliano o superano le prestazioni dei giudizi degli esperti.
L’attuale studio mostra che ciò può verificarsi anche nel contesto altamente polarizzante dell’identificazione della disinformazione.

I colossi dei social si attivano per far funzionare il crowdsourcing

La scoperta potrebbe essere applicata in molti modi e alcuni colossi dei social media stanno attivamente cercando di far funzionare il crowdsourcing.  Facebook ha un programma, chiamato Community Review, in cui vengono assunti laici per valutare i contenuti delle notizie, e Twitter ha un proprio progetto, Birdwatch, che sollecita il contributo dei lettori sulla veridicità dei tweet. La ‘saggezza delle folle’ può essere utilizzata sia per aiutare ad applicare etichette ai contenuti rivolti al pubblico, sia per informare gli algoritmi di classificazione e quale contenuto viene mostrato alle persone. A dire il vero, osservano gli autori, qualsiasi organizzazione che utilizza il crowdsourcing deve trovare un buon meccanismo per la partecipazione dei lettori.
Se la partecipazione è aperta a tutti, è possibile che il processo di crowdsourcing possa essere ingiustamente influenzato dai ‘partigiani’.

Pandemia e viaggi sostenibili: un punto di svolta

Il mondo ricomincia con cautela a viaggiare e le persone si impegnano più di prima a farlo in modo consapevole. Insomma, la pandemia è il punto di svolta che porta le persone a impegnarsi concretamente a viaggiare in modo più sostenibile. L’81% dei viaggiatori italiani pensa infatti che si debba agire ora per poter preservare il pianeta per le generazioni future, e il 57% afferma che la pandemia li ha spinti a voler viaggiare in modo più sostenibile in futuro. Si tratta di alcuni risultati emersi da una ricerca pubblicata da Booking.com sui viaggi sostenibili.

I viaggiatori vogliono impegnarsi anche nel quotidiano

Secondo la ricerca, quindi, i viaggiatori vogliono impegnarsi a favore della sostenibilità sia nel quotidiano sia nei viaggi futuri. Il 59% degli italiani, infatti, ammette che la pandemia li ha spinti ad apportare cambiamenti positivi nella propria vita quotidiana. Fare la raccolta differenziata (63%) e ridurre lo spreco alimentare (46%) ora sono di massima priorità nelle case degli italiani. Inoltre, l’89% intende ridurre i rifiuti, l’86% il proprio consumo energetico e l’85% desidera spostarsi in modo più rispettoso dell’ambiente, ad esempio, camminando, andando in bicicletta o prendendo i mezzi pubblici, piuttosto che taxi o auto a noleggio.

Il rispetto per le comunità locali

Anche il rispetto per le comunità locali è in cima alla lista: durante i viaggi il 79% degli italiani vuole vivere esperienze autentiche e rappresentative della cultura locale, e il 92% pensa sia cruciale aumentare la comprensione culturale e la conservazione del patrimonio culturale. Inoltre, l’88% vorrebbe che l’impatto economico del settore fosse distribuito equamente a tutti i livelli della società. Il 76% degli intervistati afferma anche di voler evitare le destinazioni e attrazioni più popolari per non contribuire al sovraffollamento. In questo modo pensa di aiutare le destinazioni meno visitate e le relative comunità a trarre beneficio dagli effetti positivi dei viaggi.

Non solo buone intenzioni

Molti di questi buoni propositi stanno diventando realtà. Il 44% dei viaggiatori italiani negli ultimi 12 mesi in vacanza ha scelto di spegnere l’aria condizionata o il riscaldamento nel proprio alloggio quando non era presente, e il 41% ha portato con sé una borraccia riutilizzabile per non acquistare acqua in bottiglia. O ancora, riporta Askanews, il 30% degli intervistati ha svolto attività a sostegno della comunità locale. Il 68% ammette poi di sentirsi a disagio se il posto dove soggiorna gli impedisce di essere sostenibile, ad esempio, negando la possibilità di fare la raccolta differenziata.

Internet casa: 1 italiano su 4 la vuole per giocare ai videogames

Per lavorare e per studiare, certo, ma anche per giocare. La linea internet a casa negli ultimi mesi è diventata un’assoluta necessità per poter continuare con la propria attività professionale e scolastica, ma c’è un nutrito gruppo di italiani che la vuole per dedicarsi al passatempo preferito: i videogames. La percentuale? Tra i nostri connazionali, 1 su 4 sceglie internet casa proprio per poter avere accesso ai videogiochi. In base a un’analisi fatta da Facile.it su un campione di oltre 650.000 richieste di cambio di fornitore, la percentuale degli utenti che ha dichiarato di usare la rete domestica per giocare online è aumentata del 30%, passando dal 16% rilevato nei mesi pre-pandemia al 21% rilevato tra marzo e dicembre 2020. E le richieste del primo trimestre del 2021 rivelano come la percentuale di utenti in cerca di una linea internet casa per giocare online sia addirittura arrivata al 25%.

Non è un’attività solo per giovani

Un altro elemento che emerge dalla ricerca è che la passione per i videogame non è una prerogativa solo dei giovanissimi. Certo, i richiedenti con età compresa tra i 18 e i 24 anni sono risultati essere la categoria che, in percentuale, usa con più frequenza la rete domestica per il gaming (quasi 1 su 3 nel primo trimestre 2021), ma l’utilizzo di internet per i giochi online è addirittura raddoppiato tra gli over 55. Nello specifico, tra i richiedenti con età compresa tra i 55 e i 64 anni si è passati dal 9% pre-pandemia al 18% nel 2021, mentre tra gli over 65 la percentuale è cresciuta dal 7% al 15%.
Cresce l’uso della Smart TV
Tra i passatempi digitali degli italiani non ci sono solo i videogiochi. Anche la Smart Tv ha registrato negli ultimi mesi un sensibile aumento, spinto dalla voglia di chi è a casa di guardare film e serie televisive in streaming: si è passati dal 48% del periodo pre-pandemia al 59% del primo trimestre del 2021. Come per il gaming online, anche in questo caso l’aumento ha riguardato tutte le fasce di età, seppur con differenze significative. I giovani con età compresa tra i 18 e i 24 anni, ancora una volta, sono risultati essere i richiedenti che con più frequenza si servono della linea dati per questa finalità, con una percentuale passata dal 53% pre-Covid al 62% del primo trimestre 2021.

WhatsApp detta nuove condizioni e su Telegram è subito impennata di nuovi utenti

WhatsApp annuncia di aggiornare i termini di utilizzo, e nelle 72 ore successive Telegram registra 25 milioni di nuovi utenti. In pratica, dopo questa discussa decisione, nelle prime settimane di gennaio 2021 la rivale della (per ora) più utilizzata app di messaggistica ha superato il mezzo miliardo complessivo di utenti attivi mensili. “La gente non vuole più scambiare la propria privacy con servizi gratuiti”, ha dichiarato Pavel Durov, il trentaseienne fondatore di Telegram sul suo canale, senza però citare testualmente la rivale americana. Insomma, se i nuovi termini di utilizzo WhatsApp consentiranno di condividere più dati con Facebook, a quanto pare a guadagnarci sarà proprio Telegram.

Un “rifugio” sicuro per chi cerca una piattaforma di comunicazione privata e sicura

I nuovi termini di WhatsApps hanno infatti suscitato numerose critiche, in quanto gli utenti extraeuropei che non accetteranno le nuove condizioni prima dell’8 febbraio saranno tagliati fuori dall’applicazione di messaggistica. Durov ha perciò affermato che Telegram è diventato il “più grande rifugio” per quanti cercano una piattaforma di comunicazione privata e sicura e ha assicurato ai nuovi utenti che il suo team “prende questa responsabilità molto seriamente”.

Il social che rifiuta di collaborare con qualsiasi autorità 

Telegram è stata fondata nel 2013 dai fratelli Pavel e Nikolai Durov, che hanno fondato anche il social network russo VKontakte. Tutelare privacy e sicurezza degli iscritti è sempre stata una priorità dell’app russa. Tanto che una delle caratteristiche che hanno reso Telegram popolare è proprio il rifiuto di collaborare con qualsiasi autorità e quello di consegnare le chiavi di cifratura dei messaggi: Il che ha portato al suo divieto in diversi Paesi, tra cui la Russia, anche se sul finire dello scorso anno Mosca ha annunciato che revocherà il divieto, riferisce Agi. 

Una reazione alle censure di Facebook e Twitter?

La tempistica dell’ultima impennata di iscrizioni, però, fa pensare che un ruolo possano averlo avuto anche le censure operate da Facebook e Twitter a gennaio, a partire dalla cancellazione degli account di Donald Trump e dei suoi sostenitori, riporta il Secolo d’Italia. Anche se Telegram, ha spiegato l’imprenditore russo, “aveva già registrato delle forti impennate dei suoi nuovi utenti durante i 7 anni di esperienza in materia di privacy dei suoi utenti, e lo scorso anno ha registrato 1,5 milioni di nuove iscrizioni al giorno”.