L’AI accelera la transizione digitale delle imprese

Oltre a intervenire su diversi ambiti della vita quotidiana, l’Intelligenza Artificiale è in grado di imprimere un’accelerazione nella transizione digitale delle imprese. Per le aziende le possibili applicazioni sono diverse: automazione di interi processi, come gestione dei dati e del personale, ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e servizi con riduzione dei costi, tempi e aumento della qualità, personalizzazione della relazione con i clienti, e miglioramento dell’efficienza di dipendenti e collaboratori aziendali L’adozione dell’AI richiede, però, un cambio di mindset da parte di aziende e organizzazioni. “Non si tratta solo di acquisire tecnologie avanzate, ma di implementare un approccio olistico – commenta all’Adnkronos Paolo Lobetti Bodoni, consulting leader di EY Italia -. Questa modalità di implementazione a 360° è la chiave per generare vero valore a lungo termine”.

Per un’applicazione su larga scala serve una spinta decisa

Ignorare questa nascente rivoluzione fornita dall’AI “significa condannare le proprie imprese a una minor competitività nel mercato globale, e per l’Italia, perdere l’opportunità di accelerare la propria trasformazione digitale”, aggiunge Lobetti Bodoni.
Per un’applicazione su larga scala dell’AI servirebbe una spinta decisa, ma non senza un’adeguata governance, che garantisca una corretta adozione della tecnologia, con particolare riferimento alla sicurezza e alla protezione dei dati. Oltre a investimenti, che per quanto riguarda il nostro Paese, pur aumentati del 30% nell’ultimo anno, ci vedono ancora piuttosto indietro rispetto a Usa, Cina, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna.

Un modello di business AI driven

Per fare in modo che l’AI rappresenti un valore aggiunto le imprese dovrebbero allineare la cultura, la struttura e le modalità di lavoro adottando una strategia integrata tra conoscenza del processo, etica e sicurezza. Il che si tradurrebbe in un cambio di atteggiamento complessivo, a cominciare dallo sviluppo di conoscenze specifiche, la definizione di processi di lavoro che integrino l’AI in modo efficace anche tramite regole chiare e un’infrastruttura adeguata.
Un modello di business ‘AI driven’, in cui l’organizzazione è interamente progettata attorno all’Intelligenza Artificiale e basata su di essa, e dove ogni funzione deve essere pensata per migliorare efficienza ed efficacia della strategia.

Il margine di crescita è ancora ampio

Finora le aziende che hanno accolto l’AI in tutta l’azienda hanno ottenuto un valore significativo dei loro investimenti, e in genere dedicano il 70% di tali investimenti all’integrazione dell’AI nei processi aziendali, il 20% alle tecnologie e il 10% negli algoritmi di AI. In ogni caso, l’impatto stimato dall’Osservatorio EY dell’uso dell’AI sul prodotto interno globale è di 15 trilioni di dollari entro il 2030. Attualmente, però, solo l’8% delle aziende è impegnato nell’adozione diffusa di tale tecnologia. Inoltre, se nell’ultimo anno l’Italia ha investito 457 milioni di euro nell’AI, a livello europeo sono stati investiti 15 miliardi. Il margine di crescita in questo settore in Italia è quindi ancora ampio.

Solo 1 lavoratore su 10 ha competenze in IA

La maggioranza dei lavoratori italiani (84%) ritiene che le competenze reali siano più importanti dei titoli di studio o del percorso professionale, ma solo 1 su 10 (13%) afferma di possedere competenze in materia di intelligenza artificiale, considerata una delle competenze digitali più richieste. Questi dati emergono dall’indagine italiana del Digital Skills Index condotta da Salesforce, che si basa sulle risposte di oltre 11.000 lavoratori in 11 paesi, di cui 1.000 dall’Italia.

Divario tra domanda e offerta

Esiste un divario tra le competenze richieste dalle aziende e quelle attualmente possedute dalla forza lavoro. Mentre l’82% dei lavoratori italiani dichiara di utilizzare competenze digitali nel loro lavoro quotidiano, pochi di loro hanno competenze che vanno oltre le tecnologie di collaborazione, l’amministrazione digitale e il project management. Al contrario, le competenze più richieste nel mondo del lavoro includono l’intelligenza artificiale e lo sviluppo di app, ma sono tra le meno utilizzate nei ruoli quotidiani. Tuttavia, i lavoratori italiani sono interessati ad acquisire nuove conoscenze tecnologiche, il che suggerisce che le aziende possono contribuire a colmare il divario fornendo percorsi di formazione continua ai propri dipendenti.

Le competenze più importanti del percorso di studi?

A livello globale, la maggior parte dei partecipanti all’indagine (82%) ritiene che le competenze reali siano l’elemento più importante nella valutazione dei candidati, mentre solo il 18% ritiene che il percorso professionale o di studi sia più importante. Inoltre, la maggior parte dei leader aziendali ritiene che lo sviluppo delle competenze digitali dei dipendenti avrà un impatto positivo sulla produttività (47%), sulle prestazioni del team (43%) e sulle capacità di problem solving (40%).

Il 67% del lavoratori favorevoli all’IA

In Italia, il 67% dei lavoratori si dichiara entusiasta dell’impiego dell’intelligenza artificiale nel proprio lavoro. Questo dato è in linea con l’interesse dei dirigenti aziendali italiani, poiché il 56% di loro afferma che la propria azienda sta valutando modi per utilizzare l’intelligenza artificiale generativa. Le competenze in materia di intelligenza artificiale sono considerate le più importanti per i prossimi anni e si prevede che aumenteranno di importanza nei prossimi cinque anni.

Però solo il 10% la utilizza

Nonostante l’importanza crescente per il futuro del lavoro, solo il 10% dei lavoratori italiani afferma di utilizzare tecnologie di intelligenza artificiale nel proprio ruolo attuale. Solo il 14% coinvolge competenze digitali correlate come la crittografia e la cybersecurity, e solo il 13% utilizza competenze di programmazione e sviluppo di app. Anche nel settore tecnologico, solo il 23% dei lavoratori utilizza competenze di intelligenza artificiale nella propria professione. Al di fuori dell’ICT, questi numeri diminuiscono ulteriormente, con solo il 7% dei dipendenti nel settore dei viaggi e del turismo e l’8% in campo sanitario che possiedono competenze in materia di intelligenza artificiale. È pertanto necessario migliorare le competenze, e quasi tutti i lavoratori (98%) ritengono che le aziende dovrebbero dare priorità alle competenze di intelligenza artificiale nella strategia di sviluppo dei dipendenti. Investire nella tecnologia e nelle competenze adeguate è considerato un passo fondamentale per affrontare le sfide attuali e future delle aziende. 

Milano, industria: nel primo trimestre 2023 prosegue la crescita congiunturale  

Nel primo trimestre 2023 i dati congiunturali dell’industria sono positivi. Secondo le elaborazioni effettuate dal Servizio Studi Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, il primo trimestre 2023 fa registrare un aumento rispetto al quarto trimestre 2022 sia della produzione industriale (+0,9% destagionalizzato), sia del fatturato (+2% destagionalizzato).A crescere sono anche le commesse acquisite dai mercati esteri (+2,1% destagionalizzato), mentre risultano in calo quelle interne (-1,3%).

Milano: aumentano produzione, fatturato e ordini

Per l’area di Milano, il quadro delinea un aumento congiunturale della produzione industriale e del fatturato (+0,3% e +2,3% destagionalizzato). La crescita rispetto al dato lombardo è maggiore per la produzione e per il fatturato locale (+1,8% per la Lombardia, destagionalizzato). Per gli ordini interni il dato congiunturale cresce in modo più marcato per l’industria milanese rispetto alla manifattura lombarda (rispettivamente +3,4% e +0,3 destagionalizzato), allo stesso modo gli ordini esteri, per cui la performance milanese risulta migliore (+6,4% rispetto al dato lombardo di +0,8% destagionalizzato).

L’area metropolitana milanese cresce anche rispetto al 2022

Secondo l’analisi tendenziale, il primo trimestre 2023 ha consentito all’area metropolitana milanese di crescere del 3,3% per la produzione, più del dato lombardo (+2,5% in un anno). Se si considera la crescita netta del fatturato, sempre raffrontata al primo trimestre 2022, l’aumento è del 9,1% a livello locale e del 7,7% a livello regionale.
In relazione al portafoglio ordini, si registra un livello superiore a quello relativo al primo trimestre 2022 (+6,5%), con performance migliore rispetto alla manifattura lombarda (+2,8%). Inoltre, i mercati esteri milanesi hanno ripreso la crescita in modo più incisivo (+11,1%) rispetto alla componente interna (+4,1%).

Monza e Brianza e Lodi

La crescita tendenziale della capacità produttiva di Monza e Brianza colloca i volumi prodotti a un livello superiore rispetto al primo trimestre 2022 (+3,3%), superiore rispetto al dato lombardo (+2,5%). Nello stesso periodo, i dati della manifattura brianzola per fatturato (+7,8%) sono in linea con il dato lombardo (+7,7%), mentre il portafoglio ordini del manifatturiero brianzolo evidenzia un incremento reale inferiore a quanto registrato in Lombardia (rispettivamente +2% e +2,8%).
Anche Lodi evidenzia una crescita rispetto al trimestre precedente per la produzione industriale (+2,7% destagionalizzato), accompagnato dalla crescita del fatturato (+0,5% destagionalizzato), dalle commesse acquisite dai mercati interni (+0,1% destagionalizzato), e dagli ordini esteri (+0,9%).
Relativamente all’analisi tendenziale, la crescita della produzione si attesta a +5,2%, performance migliore rispetto al dato lombardo (+2,5%), e in relazione al fatturato, il recupero si attesta a +3,6%, inferiore per intensità al dato regionale (+7,7%). Per quanto riguarda gli ordini, crescono in un anno del 2,6% rispetto al 2,8% lombardo.

Arriva la stagione delle diete, un business da 14 miliardi l’anno

Secondo l’Italian Barometer Obesity Report, in Italia le persone in eccesso di peso sono più di 25 milioni, e circa 6 milioni, pari al 12% della popolazione, è a tutti gli effetti obeso, con una incidenza maggiore al Sud (14%) rispetto al 10,5% del Nord-Ovest e del Centro. La fine delle festività di Pasqua, il rialzo delle temperature medie e l’avvio della bella stagione spinge ogni anno una fetta consistente di popolazione a modificare le proprie abitudini alimentari con l’obiettivo di perdere peso e migliorare il proprio aspetto fisico. Circa 16 milioni di italiani si metteranno quindi a dieta per migliorare il proprio aspetto fisico e arrivare pronti al periodo estivo, generando un business da oltre 14 miliardi di euro. Lo afferma la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima).

Per gli integratori alimentari si spendono 4 miliardi di euro

Tanto vale infatti in Italia il mercato del cibo dietetico, ossia quei prodotti presentati al pubblico come a basso contenuto calorico, con pochi zuccheri o privi di zuccheri aggiunti, e senza grassi. Secondo Sima, solo per gli integratori alimentari la spesa nel nostro paese ha raggiunto 4 miliardi di euro. Al tempo stesso si impenna la vendita dei farmaci per la perdita del peso, che a livello globale e secondo i numeri ufficiali, registrano un aumento del +25% solo nel primo trimestre del 2023.

I rischi della dieta “fai da te”

“Il 75% di coloro che inizieranno una dieta alimentare ricorrerà tuttavia al ‘fai da te’, reperendo informazioni sul web e modificando le proprie abitudini a tavola senza rivolgersi a un professionista del settore – afferma il presidente Sima, Alessandro Miani -. Un rischio sul fronte della salute, considerato che una dieta sbagliata e sbilanciata può avere sul nostro organismo ripercussioni serie, che vanno dal semplice affaticamento e mal di testa ai disturbi del sonno, crampi o perdita di massa muscolare, fino a poter causare problemi renali, nel caso delle diete iper-proteiche sbilanciate, e malnutrizione”.

In Europa 950 mila persone ogni anno perdono la vita a causa di diete sbagliate

“E non è certo un caso se, in base ai numeri ufficiali, solo in Europa 950 mila persone perdono ogni anno la vita a causa di diete alimentari sbagliate e malsane – afferma all’Ansa Alessandro Miani -. Occorre inoltre ricordare gli ingenti costi sociali determinati dall’alimentazione sbagliata, che incide fino al 10% sulla spesa sanitaria pubblica, con un impatto sulle casse statali di circa 13 miliardi di euro annui”. 

Videogiochi, segnali di crescita per il Made in Italy 

Le ultime notizie relative al mercato dei dei videogiochi in Italia sono decisamente incoraggianti. Secondo l’associazione IIDEA, nel 2022 i consumi sono stabili, ma la produzione nazionale – e qui arrivano le buone notizie – sta crescendo a vista d’occhio. Nonostante una leggera contrazione del mercato dei videogiochi pari all’1,2%, il segmento software rappresenta ancora l’81,5% del totale, mentre le vendite di software fisico stanno tornando prepotentemente nei negozi. Tuttavia il segmento hardware sta subendo un -7,7% rispetto all’anno precedente a causa delle difficoltà di approvvigionamento di alcune materie prime. 

Il numero dei giocatori italiani è in aumento

Un ulteriore dato positivo per il comparto è che il numero di videogiocatori in Italia sta aumentando. Oggi si attesta sui 14,2 milioni, con un’età media di 29,8 anni. Di questo universo, poco meno della metà (per la precisione il 42%) è composto da donne! E’ interessante scoprire anche quali siano le piattaforme preferite dai gamer tricolori: i dispositivi mobili, seguiti da console e PC. 

Le startup diventano PMI

Ma la vera sorpresa arriva dalla produzione nazionale di videogiochi, che sta crescendo e consolidandosi sempre più da micro realtà a piccola e media impresa. Aumentano, in particolare, le imprese con un numero di addetti tra i 10 e i 20, che passano dal 15% del 2021 al 20% attuale. Il fatturato generato dalle imprese di produzione si aggira nel 2022 tra i 130 e i 150 milioni di euro, segnando un +30% rispetto all’anno precedente e mostrando un forte potenziale di crescita. Il mercato principale di destinazione rimane quello europeo, che esce però ridimensionato (dal 60% nel 2021 al 43%) a beneficio di quello nordamericano, la cui incidenza sul totale passa dal 25% del 2021 al 40% del 2022. Limitato il peso dell’Italia, per quanto in leggero aumento (7%). Per quanto riguarda gli addetti alla produzione, i professionisti aumentano del 50%, passando dai 1.600 del 2021 ai 2.400 del 2022. L’83% ha meno di 36 anni, mentre uno su quattro è donna. Il 77% del fatturato deriva dal mercato B2C (+9%), mentre per il 75% dei developer italiani il PC resta la piattaforma preferita di sviluppo: seguono mobile (50%) e console (40%). 

Capitali sempre più “misti”

La maggioranza degli operatori continua ancora a fare affidamento sul capitale proprio per finanziare l’attività di proprietà (86%), tuttavia aumentano il finanziamento delle istituzioni pubbliche (29% vs 24% 2021) e quello delle imprese private (19% vs 9%). In particolare, inizia a intravedersi l’impatto del sostegno pubblico al settore, come effetto diretto dell’attuazione del tax credit e dell’avvio di programmi di accelerazione verticali, oltre che delle acquisizioni internazionali che hanno recentemente interessato alcuni studi italiani. 

Rivoluzione per la PA: per accedere ai servizi basterà la Cie

La Pubblica Amministrazione semplifica l’accesso da parte dei cittadini: per poter accedere ai suoi servizi in sostituzione dello Spid sarà sufficiente la semplice carta d’identità, ma di ultima generazione, quella elettronica (Cie), con il semplice codice Cie. Non è più necessario, quindi, doversi prenotare, ad esempio, sul sito di Poste Italiane, o rivolgersi a un provider privato tra quelli convenzionati, come Aruba, Sielte o Tim, per richiedere e attendere di entrare in possesso dello Spid. Dal 31 marzo è sufficiente avere la semplice carta d’identità aggiornata.

Addio a complicazioni e scarse possibilità d’accesso

Via libera anche ai primi e secondi codici Pin e Puk rilasciati, i primi al momento in cui si fa la carta d’identità, i secondi spediti a casa per posta al destinatario. In pratica, ora basteranno tre credenziali di livello 1 e 2, associate alla propria carta d’identità elettronica, per poter accedere ai servizi della PA.
Prima di questa semplificazione, con la carta d’identità elettronica si poteva accedere ai servizi solo facendo ricorso al livello 3, che però per garantire il massimo della sicurezza richiedeva l’utilizzo di un lettore di smart card per il pc o di uno smartphone dotato di tecnologia Nfc. Molte le complicazioni, dunque, e scarse le possibilità d’accesso.

Attivare una coppia di credenziali, username e password

Le procedure per accedere ai servizi della PA possono avvenire da qualunque dispositivo senza dover più usare il lettore esterno di smart card e la tecnologia Nfc.
“Tutti i cittadini in possesso di Cie possono accedere ai servizi online in pochi passi e da qualsiasi dispositivo, semplicemente attivando una coppia di credenziali, username e password”, spiega il Ministero.
Nel frattempo, con una proroga di due anni, lo Spid non sparirà. La ‘scadenza-spettro’ del 23 aprile, data in cui sarebbe dovuto scadere una volta per tutte è definitivamente allontanata. 

Spid: prorogata al 2024 la piattaforma di identità digitale

A questo scopo, riporta Agi, il governo ha stanziato 40 milioni, inclusi nel decreto Pnrr, per permettere alla piattaforma di identità digitale di proseguire la propria attività anche per il 2024 e ai cittadini di connettersi con l’amministrazione pubblica. Il fine è anche di “garantire la sostenibilità degli adeguamenti tecnologici richiesti ai soggetti gestori di Spid – continua il Ministero -, per la fornitura del servizio di identità digitale con nuove modalità operative imposte dalle misure del Pnrr”.

La difficoltà di reperimento del personale costa quasi 38 miliardi all’anno 

Unioncamere ha stimato i costi per i diversi settori dell’economia derivanti dal minor valore aggiunto prodotto a causa dell’inserimento ritardato delle professioni difficili da reperire. E considerando una tempistica di difficoltà di reperimento compresa tra 2 e 12 mesi, per il 2022 si stima una perdita di valore aggiunto di 37,7 miliardi di euro, il 3,1% di quanto generato complessivamente dalle filiere dell’industria e dei servizi. Di fatto, nel 2022 la difficoltà di reperimento del personale ha riguardato il 40% delle assunzioni e tenderà ad aumentare, anche per l’accelerazione della domanda attesa come effetto del PNRR. È quanto emerge dai dati del Sistema informativo Excelsior sulle Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine aggiornate al quinquennio 2023-2027, realizzata da Unioncamere in collaborazione con ANPAL.

Perché il mismatch è destinato ad aumentare

Nei prossimi anni il costo del mismatch rischia di aumentare in considerazione dei macro-trend che stanno già cambiando il mercato del lavoro: transizione digitale/green e andamento demografico. Quest’ultimo comporterà infatti sia un aumento dei flussi pensionistici sia una riduzione del numero di persone in età lavorativa dovuta all’invecchiamento della popolazione, aumentando quindi lo shortage gap per mancanza di lavoratori che possano sostituire quelli in uscita. L’aspetto demografico rappresenterà nei prossimi anni il fattore critico più rilevante, considerando che tra il 2023-2027 l’intero mercato del lavoro italiano avrà bisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, di cui il 72% (2,7 milioni) dovrà sostituire gli occupati in uscita, mentre il 28% sarà determinato dalla crescita dello stock occupazionale di oltre un milione di lavoratori. 

Le stime sull’impatto del PNRR

Per quanto riguarda le previsioni occupazionali a livello regionale emerge l’ampio fabbisogno della Lombardia, che necessiterà nel 2023-2027 di oltre 714mila occupati, seguita da Lazio (379mila), Veneto (346mila) ed Emilia Romagna (quasi 336mila). Quanto alle stime sull’impatto del PNRR quattro filiere appaiono maggiormente trainate: costruzioni e infrastrutture, che dovrebbero assorbire il 21% del flusso di occupati complessivi, turismo e commercio (18%), servizi avanzati (16%), formazione e cultura (13%).  Il PNRR intensificherà anche la richiesta di competenze per affrontare i processi di transizione verde e digitale: tra il 2023-2027 saranno richieste competenze green a circa 2,4 milioni di lavoratori (65% del fabbisogno del quinquennio) e competenze digitali a poco più di 2 milioni di occupati (56%).

Il fabbisogno occupazionale nei prossimi cinque anni

Tra il 2023-2027 si stima che il 34,3% del fabbisogno occupazionale riguarderà personale in possesso di una formazione terziaria (laurea o diploma ITS Academy), e il 48,1% di un diploma tecnico-professionale. Risulterà più marcata la carenza di offerta di laureati nell’indirizzo medico-sanitario (mancheranno 12mila laureati ogni anno), in quello economico-statistico (8mila) e di lavoratori con un titolo terziario nelle discipline STEM (6mila). Considerando gli indirizzi della formazione secondaria di II grado tecnico-professionale, si stima che l’offerta formativa complessiva riuscirebbe a soddisfare solo il 60% della domanda potenziale, con mismatch più critici per gli ambiti di studio relativi a trasporti/logistica, costruzioni, sistema moda e meccanica, meccatronica ed energia, per cui si prevede che tra il 2023-2027 l’offerta potrebbe coprire circa meno di un terzo della domanda potenziale.

Diritto in garanzia: lavatrici e televisori riparabili anche alla scadenza?

Aspirapolvere, lavatrici, televisori, e presto anche tablet e smartphone, si potranno riparare anche oltre i termini della garanzia legale. La Commissione Europea ha infatti presentato una proposta legislativa allo scopo di permettere non solo che un maggior numero di prodotti venga riparato nell’ambito della garanzia legale, ma che i consumatori dispongano di opzioni più semplici ed economiche per riparare prodotti tecnicamente riparabili, anche quando la garanzia legale è scaduta o il bene non funziona più.
La proposta introduce quindi un nuovo ‘diritto alla riparazione’ per i consumatori, sia all’interno sia all’esterno della garanzia legale. Ma la proposta della Commissione dovrà essere negoziata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio.

Incoraggiare i produttori a sviluppare modelli di business più sostenibili

Nell’ambito della garanzia legale i venditori saranno tenuti a offrire la riparazione tranne quando è più costosa della sostituzione. E oltre alla garanzia legale, i consumatori avranno a disposizione una nuova serie di diritti e strumenti per rendere la riparazione un’opzione facile e accessibile. Viene così introdotto il diritto per i consumatori di richiedere la riparazione ai produttori per prodotti tecnicamente riparabili, come appunto una lavatrice o un televisore. La legge garantirà che i consumatori abbiano sempre qualcuno a cui rivolgersi quando scelgono di riparare i loro prodotti, oltre a incoraggiare i produttori a sviluppare modelli di business più sostenibili. I produttori saranno inoltre obbligati a informare i consumatori relativamente ai prodotti che sono obbligati a riparare da soli.

Un modulo europeo di informazione sulla riparazione

Verrà inoltre creata una piattaforma online di riparazione per mettere in contatto i consumatori con riparatori e venditori di beni ricondizionati nella zona di residenza. La piattaforma consentirà ricerche per posizione e standard di qualità, aiutando i consumatori a trovare offerte interessanti e aumentando la visibilità per i riparatori. Viene poi introdotto un modulo europeo di informazione sulla riparazione, che i consumatori potranno richiedere a qualsiasi riparatore, portando così trasparenza sulle condizioni e sul prezzo della riparazione, e rendendo più facile per i consumatori confrontare le offerte dei riparatori.

Uno standard europeo di “riparazione facile” e di qualità

Inoltre, verrà sviluppato uno standard di qualità europeo per i servizi di riparazione per aiutare i consumatori a identificare i riparatori che si impegnano a offrire una qualità superiore.
Lo standard di ‘riparazione facile’ sarà aperto a tutti i riparatori della Ue disposti a impegnarsi a rispettare standard minimi di qualità, ad esempio, in base alla durata o alla disponibilità dei prodotti.
Di fatto, riparare le cose che non funzionano più diventa un diritto, e fa bene all’ambiente e al portafoglio.

Spesa alimentare: come si comportano gli italiani?

Come sta cambiando la spesa degli italiani? Nel 2023 l’82% degli italiani presterà più attenzione alle promozioni quando farà la spesa. un balzo di quattordici punti percentuali da gennaio 2022, quando a pensarla così era il 68% dei consumatori. A questo si aggiunge che il 75% dei cittadini dichiara che nei prossimi mesi mangerà più cibi cucinati a casa, e anche in questo caso la tendenza è in crescita, infatti a gennaio 2022 la quota si fermava al 66%. Si tratta di alcuni dati focalizzati sui modelli di consumo alimentari tratti dall’ultima rilevazione del Monitor continuativo elaborato dall’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca in Psicologia dei consumi e della salute dell’Università Cattolica di Cremona. 

Più propensi al risparmio donne e anziani

Il Monitor rileva poi come l’attenzione alle promozioni sia accentuata nelle donne (89% rispetto all’82% della media nazionale) e tra gli over 60 (87%), e meno tra gli uomini e i giovani (78% e 76%). Inoltre, le persone che si dicono attente agli sconti sono concentrate maggiormente al Sud e Isole (87%), mentre questo atteggiamento appare meno presente nel Nord-Est (75%). Allo stesso tempo, le persone che ammettono un umore triste sono un po’ meno propense ad attivarsi alla ricerca di promozioni (78%). Al contrario, si sale al 90% di soggetti attenti agli sconti se si restringe il campo a coloro che mostrano un generale atteggiamento ‘cospirazionista’.

Ma non si deroga sulla qualità

Il 37% dei consumatori acquisterà merce di seconda mano, una percentuale significativa e in rialzo di 5 punti da gennaio 2022, e il 36% dichiara che si affiderà più di prima alla Grande distribuzione, quota in crescita del 3%, e fenomeno particolarmente evidente nel Centro Italia (42%). Se dunque la caccia al risparmio nella spesa quotidiana è una tendenza in atto lo studio del Centro di ricerca della Cattolica di Cremona riesce a intercettare anche altre sfaccettature del consumatore, che comunque per il 75% sarà più attento alla qualità quando andrà a fare la spesa (+11% rispetto a gennaio 2022), e nella medesima misura, considererà, tra le priorità di scelta, la provenienza dei prodotti.
Insomma, più attenzione al risparmio, ma all’interno di una forchetta valoriale non facilmente valicabile.

La variabile cambia in funzione della situazione sociodemografica

“Oltre ai dati medi nazionali, basati cioè sulla popolazione generale, è interessante approfondire quelli che noi chiamiamo incroci, che servono a vedere come la variabile in gioco cambi in funzione della situazione sociodemografica o della condizione psicologica dei cittadini intervistati”, spiega la professoressa Guendalina Graffigna, Ordinario all’Università Cattolica e direttore dell’EngageMinds HUB. La ricerca di EngageMinds HUB è stata condotta su un campione di oltre 9000 italiani, rappresentativo della popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione, ed è stata realizzata con metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview).

Attacchi informatici, 1 impresa su 7 ha avuto danni tangibili

Gli attacchi informatici non sono una possibilità remota, ma un rischio molto concreto. Specie per le imprese: tanto che una su 7 ha avuto danni tangibili da simili incidenti. Come evidenzia il Clusit, i cyberattack sono in continuo aumento, con 1.141 incidenti gravi rilevati nel solo primo semestre 2022, +8,4% rispetto allo stesso periodo 2021. E le minacce interessano sempre più anche infrastrutture critiche. In questo contesto, il 67% delle imprese rileva un aumento dei tentativi di attacco e il 14% ha subito conseguenze tangibili a seguito di incidenti informatici, come interruzioni del servizio, ritardi nell’operatività dei processi o danni reputazionali. Più in generale, a causa della turbolenza in atto, il 92% delle aziende riscontra impatti, positivi o negativi, direttamente riconducibili al contesto geopolitico, che spaziano da un maggiore interesse alla sicurezza da parte del Top Management fino a una necessità di riorganizzazione delle attività di gestione del rischio cyber.

In Italia cresce l’attenzione verso il pericolo cyber

In Italia sta crescendo l’attenzione per la cybersecurity, che nel 2023 si conferma la principale priorità di investimento nel digitale tra le imprese, sia grandi che pmi. Ben il 61% delle organizzazioni sopra i 250 addetti ha deciso di aumentare il budget per le attività di sicurezza informatica negli ultimi 12 mesi. E complessivamente nel 2022 il mercato italiano della cybersecurity raggiunge il valore di 1,86 miliardi di euro, con un’accelerazione eccezionale del +18% rispetto al 2021. Il rapporto tra spesa in cybersecurity e PIL in Italia si attesta allo 0,10%, in lieve crescita rispetto allo 0,08% dell’anno precedente. Si tratta però di un risultato che colloca il nostro Paese all’ultimo posto tra quelli del G7. La classifica è guidata da Stati Uniti e Regno Unito, con un rapporto dello 0,31%. Per Francia e Germania il rapporto è, rispettivamente, lo 0,19% e lo 0,18%. Lo evidenzia l’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection della School of Management del Politecnico di Milano.

Quanto vale il mercato della cybersecurity in Italia

Il mercato della cybersecurity, dopo la crescita del 15% del 2021, conosce un’ulteriore spinta del 18% nel 2022, dettata dalla ripresa degli investimenti delle organizzazioni e da una progressiva presa di coscienza sulle minacce, raggiungendo il valore di 1.855 milioni di euro. Una crescita sostenuta in buona parte dalle medie imprese, che iniziano finalmente a introdurre azioni concrete in materia di cybersicurezza. Per quanto riguarda le diverse componenti di spesa, il 50% è dedicato a servizi, in crescita rispetto allo scorso anno, e l’altra metà a soluzioni di cybersecurity, tra cui Endpoint and Extended Detection and Response, SIEM, Identity & Access Management, Vulnerability Management e Penetration Testing.