La Smart Home diventa un “fenomeno di massa”

La Smart Home si fa spazio sempre più come fenomeno di massa: gli italiani sono sempre più interessati ad acquistare oggetti smart per la casa, e quasi la metà possiede almeno un oggetto smart. Cresce infatti la diffusione degli oggetti smart nelle case: il 46% delle persone possiede almeno un dispositivo connesso (+3% rispetto al 2020), in particolare tra i 18 e i 34 anni (63%) e tra coloro che hanno una maggiore familiarità con le tecnologie (78%). Le motivazioni che spingono all’acquisto? Comfort (38%), sicurezza (22%) e la possibilità di controllare a distanza i dispositivi connessi (14%). Inoltre, aumenta il livello di conoscenza: a fine 2021 il 74% degli italiani dichiara di aver sentito parlare almeno una volta di Smart Home o ‘casa intelligente, +5% rispetto al 2020. La pubblicità in TV è la prima fonte di conoscenza (51%), seguita da internet (34%), il word-of-mouth dei conoscenti (26%) e i social network (20%). Sono alcuni risultati della ricerca sulla Smart Home di BVA Doxa, condotta per l’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano.

Il mercato raggiunge 650 milioni di euro

Nel 2021 il mercato della Smart Home ha quindi ripreso a correre, registrando una crescita del 29% rispetto al 2020 e raggiungendo quota 650 milioni di euro.
Gli elettrodomestici guidano il mercato, con una quota pari al 21% e un tasso di crescita del 35%, grazie a un progressivo ampliamento dell’offerta e al boom di alcune tipologie di piccoli elettrodomestici, come robot aspirapolvere e purificatori d’aria. Gli smart speaker però dominano il mercato, con una quota pari al 20% (+25%), e vedono gli acquisti orientarsi sempre più su dispositivi dotati di display, che corrispondono al 25% degli speaker venduti nel 2021.
Rimane però molto da fare per abilitare una vera integrazione con la Smart Home. In Italia solo l’11% dei possessori di smart speaker li utilizza per gestire altri oggetti smart in casa.

In ripresa le soluzioni per la sicurezza e per la climatizzazione

In ripresa le soluzioni per la sicurezza, con una quota del 19% e una crescita (+20%) che però non permette di colmare il gap rispetto al 2019. Si tratta di un mercato trainato da soluzioni hardware (videocamere, sensori per porte/finestre e serrature connesse), anche se si osservano sempre più offerte legate ad abbonamenti per fare chiamate automatiche di emergenza o attivare servizi di pronto intervento in caso di allarme. Caldaie, termostati e condizionatori connessi rappresentano invece il 17% del mercato, per una crescita del +45% rispetto al 2019 favorita da Superbonus ed Ecobonus, e dalla possibilità di ottenere benefici nel risparmio energetico e comfort.
La rimanente quota è costituita da casse audio, lampadine, smart plug e dispositivi per gestire tende e tapparelle da remoto.

Retailer multicanale e filiera tradizionale crescono più dell’online

Nel 2021 gli eRetailer hanno continuato a cavalcare la forte spinta agli acquisti online (+25%) raggiungendo il 35% del mercato, mentre i retailer multicanale e la filiera tradizionale hanno visto una crescita addirittura del +45%. I retailer multicanale hanno aumentato sensibilmente il valore di fatturato (+29%) grazie al ritorno dei clienti nei negozi e al crescente interesse verso la possibilità di gestire da remoto dispositivi ed elettrodomestici connessi in casa. Anche la filiera tradizionale ha osservato una forte crescita nel 2021 (+40%), dovuta soprattutto alla spinta data dagli incentivi, Ecobonus su tutti. Rimangono limitate per il momento le vendite di utility, assicurazioni e telco, anche se soprattutto per le prime due, è stato un anno di rilancio sul fronte delle nuove offerte per la casa.

Per gli under 30 l’azienda del futuro è ibrida e flessibile

Per il futuro la strada da seguire è quella di un modello di lavoro ibrido, che tenga conto della flessibilità e del giusto bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa, ma che allo stesso tempo faciliti una costante presenza in ufficio. Un fattore imprescindibile per il futuro del lavoro. Questa richiesta emerge dalla survey Il futuro del lavoro in Italia, commissionata da Nestlé in Italia a Toluna, con l’obiettivo di indagare le preferenze e le necessità degli under 30, i ragazzi e ragazze che si stanno affacciando al mondo del lavoro.

I giovani mostrano una forte capacità di adattamento

Con l’obiettivo di ascoltare e dare voce a chi ha appena concluso gli studi o a chi ha appena iniziato a lavorare, lo studio riflette sul rinnovato mondo del lavoro, raccontando come gli ultimi due anni abbiano modificato i modelli organizzativi tradizionali aprendo nuove prospettive per il futuro.
In generale, nonostante le preoccupazioni, i giovani hanno dimostrato forte capacità di adattamento alla nuova situazione lavorativa. Infatti, il 74% degli under 30 valuta positivamente l’esperienza di lavoro degli ultimi mesi, in quanto ha contribuito a favorire la propria autonomia (47%) e ha accelerato l’acquisizione di nuove competenze utili per crescere (44%).

Tornare a lavorare in ufficio o continuare a lavorare da casa?

È chiaro, nel lavoro da remoto non mancano alcuni aspetti negativi a cui le aziende dovranno prestare massima attenzione, come la ridotta socializzazione (33%) e la difficoltà di ‘staccare’ dal lavoro e godersi il tempo libero (26%). Se da un lato lo smart working regala più tempo da dedicare alle proprie attività, dall’altro rischia di portare alla mancanza di un confine netto e necessario tra lavoro e casa, a scapito della sfera privata. Insomma, la prospettiva futura di un modello di lavoro ibrido è la preferita da più della metà degli intervistati (52%), ma circa un terzo dei giovani preferirebbe tornare totalmente in ufficio, riconoscendo i benefici e i vantaggi del lavorare in presenza rispetto al lavorare sempre da casa (12%).

Tutelare il corretto bilanciamento tra vita personale e professionale

Come tutte le aziende che vogliono guardare avanti, Nestlé sta costruendo il suo modello di lavoro ascoltando il parere e le necessità delle persone, ma ritiene anche fondamentale considerare le esigenze di chi non sta ancora lavorando e che magari arriverà in azienda tra qualche anno.
Con l’introduzione dello smart working già dal 2012 l’azienda adotta una forma di lavoro che garantisce maggiore flessibilità alle persone, tutelando il corretto bilanciamento tra vita personale e professionale. Oggi l’azienda, riporta Adnkronos. ha deciso di aggiornare il proprio modello coniugandolo al meglio con politiche di welfare aziendale, che diventano sempre più importanti per far vivere bene il lavoro, e che possono favorire la crescita, personale e aziendale.

Il turismo italiano è sempre più digital

Nel 2021 torna a crescere il il mercato digitale dei viaggi, oltrepassando raggiungendo gli 11,1 miliardi di euro (+55% sul 2020), nonostante il valore complessivo segni ancora un -32% rispetto al 2019. E’ evidente che gli effetti della pandemia si siano fatti sentire in maniera significativa sul comparto travel, ma è altrettanto evidente che la ripresa è in atto. Ed è altrettanto vero che la pandemia ha spinto l’adozione di strumenti digitali per la gestione dei processi. Si tratta di alcuni dati emersi dall’ottava edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano.

Segnali positivi per l’ecommerce

“Il clima di incertezza che ha segnato gli ultimi due anni persiste anche in questo inizio di 2022” dichiara Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo “Tuttavia, possiamo notare alcuni segnali positivi, soprattutto dal fronte eCommerce: nel comparto ricettivo, infatti, la componente online è passata dal costituire il 45% del valore delle transazioni nel 2019 al 55% nel 2021, portando il valore assoluto delle transazioni digitali dell’ospitalità addirittura a superare quelle pre-Covid. Anche nei trasporti l’incidenza delle vendite su internet è aumentata, passando dal 55% nel 2019 al 62% nel 2021”.

L’accelerazione al digitale delle strutture ricettive e nuovi trend

Circa l’88% delle strutture ricettive italiane coinvolte nell’indagine oggi utilizza almeno uno strumento digitale per la gestione dei processi, sebbene si riscontrino gradi diversi di adozione e l’ambito extra-alberghiero sconti ancora un maggiore ritardo. I primi processi a essere digitalizzati sono quelli legati alla distribuzione con l’adozione di Booking Engine, sistemi di pagamento digitale e Channel Manager, cui si aggiungono i Property Management System, ormai in uso nel 63% delle strutture. Seguono i sistemi di analisi dei dati e Revenue Management per impostare strategie di prezzo differenziate. Gli attori più evoluti si concentrano su strumenti per la gestione della relazione con i clienti e sulla marketing automation. Per quanto riguarda i nuovi trend, sono in particolare la sostenibilità, il neverending tourism e la flessibilità a guidare le scelte degli attori del mercato per l’anno in corso. Sul fronte sostenibilità, una tendenza sempre più forte, il 94% delle strutture ha messo in atto nel 2021 azioni per aumentare la sostenibilità, come l’utilizzo di materiali, prodotti e fonti di energia sostenibili o la riduzione degli sprechi. Insieme a questa tendenza cresce anche quella legata all’esperienza anche prima e dopo il viaggio vero e proprio: il 7% delle strutture offre la possibilità di arricchire la visita e la conoscenza della destinazione attraverso attività da svolgere online, arricchendo la propria value proposition per offrire una neverending experience, ovvero un’estensione dell’esperienza turistica, sia fisica sia digitale, nello spazio (non solo in destinazione) e nel tempo (non solo durante, ma anche prima e dopo l’esperienza stessa di viaggio). Sempre in quest’ottica ben il 77% degli operatori si è attrezzato per ospitare lavoratori in smart working, offrendo per esempio postazioni da lavoro in camera (48%) o schermi per video-conferenze (43%). 

Obblighi più rigidi per le emissioni delle auto

Entro il mese di aprile 2022 la Commissione europea dovrà proporre le nuove regole Euro7. Con queste verranno fissati i limiti legali delle emissioni da applicare alle circa 100 milioni di auto a benzina e diesel, che si prevede saranno vendute in Europa dopo il 2025 ed entro il decennio successivo.
Ma quanto devono essere stringenti le nuove regole? Secondo i cittadini europei il più possibile, e due 2 su 3 sono disposti a pagare di più per ridurre al massimo l’inquinamento. Lo rivela un sondaggio di YouGov, commissionato da Transport & Environment su oltre 8.000 cittadini di sette Paesi europei: Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania e Repubblica Ceca.

Gli italiani pagherebbero 500 euro in più per un’auto meno inquinante

Tra gli europei, gli italiani sono tra i più decisi: 9 su 10 (89%) concordano nel chiedere che l’industria automobilistica sia obbligata per legge a ridurre le emissioni delle nuove auto fino a quanto sia tecnicamente fattibile. Non solo: più di due terzi (71%) sarebbero disposti a pagare fino a 500 euro in più, ovvero il costo massimo che i produttori sosterrebbero per ridurre significativamente l’inquinamento delle auto a combustione interna. Ma il ragionamento ‘green’ degli intervistati va oltre, e porta a un’altra richiesta: per fissare i nuovi limiti Euro7 non devono più essere considerate le condizioni di guida ‘ideali’ ma quelle ‘reali’. In questo caso, oltre il 91% degli intervistati in Italia concorda sul fatto che le auto dovrebbero rispettare i requisiti minimi di legge in materia di inquinamento, indipendentemente da come, quando e dove siano guidate.

Una sfida alle case automobilistiche

“L’industria automobilistica sostiene che ridurre le emissioni delle auto sia troppo costoso quando, in realtà, costa meno di una verniciatura – osserva Carlo Tritto, Policy Officer di T&E Italia -. I cittadini vogliono che le auto siano più ecologiche possibile. Il fatto di dimostrarsi disposti a pagare di più per averle è una sfida alle case automobilistiche: non hanno più scuse per non proporre motori il più possibile puliti”.
La Commissione europea sta valutando varie proposte per introdurre nuove regole sulle emissioni dei veicoli, che contribuirebbero a migliorare la pessima qualità dell’aria rilevata in molte città europee. Si stima che l’aggravio di costo per i produttori si aggirerebbe tra i 100 e i 500 euro per auto. Calcoli che l’industria dell’automotive contesta, facendo pressioni per indebolire le nuove regole.

I limiti in vigore non si applicano agli spostamenti in città

I limiti sulle emissioni attualmente in vigore non si applicano agli spostamenti brevi nelle città, riferisce Adnkronos, nonostante i motori emettano di più. In città le auto si fermano e ripartono più spesso, accelerando rapidamente. Le auto nuove poi vengono controllate solo nei primi 5 anni di vita o fino a 100.000 chilometri percorsi. Tuttavia, molti veicoli restano sulle strade europee molto più a lungo, soprattutto nei Paesi dell’Europa meridionale, centrale e orientale, esponendo di fatto milioni di cittadini a emissioni maggiori.

Rincaro dei prezzi e inflazione: la percezione dei consumatori

La carenza di molte materie prime dovuta alla crisi generata dal Covid e l’inflazione hanno spinto in alto i prezzi di bollette, generi alimentari, beni primari e servizi di base, trainando un rialzo dei prezzi su tutti i settori. I rincari sui prezzi dell’energia e la ripresa economica a livello globale iniziano a farsi sentire sui costi di diversi prodotti e servizi.
Un sondaggio Ipsos ha indagato la percezione dei cittadini di 30 Paesi in merito ai prezzi di beni e servizi, e le aspettative in relazione alle spese familiari per i prossimi tre mesi. E dalla ricerca emerge che due terzi degli intervistati dichiarano di aver pagato di più per trasporti (70%), cibi e bevande (70%), utenze e bollette (66%), rispetto a sei mesi fa. Circa la metà del campione riferisce anche un aumento dei costi di abbigliamento e calzature (55%), affitti e spese di manutenzione (51%), assistenza medica e sanitaria (51%) e intrattenimento (49%).

In Argentina è più alta la percezione dei rincari

Una percezione dei rincari molto alta si rileva soprattutto nei Paesi dell’America Latina, guidati dall’Argentina, di cui il 79% del campione riferisce un incremento dei prezzi. Ma anche nei paesi dell’Europa dell’est, come Russia (74%), Polonia (73%) e Ungheria (66%), o ancora in altre nazioni come la Turchia (75%) e il Sudafrica (73%) si evidenzia la medesima apprensione. In ogni caso, i consumatori con la maggiore percezione di prezzi più alti sono i più anziani e chi ha un reddito maggiore.

Come cambieranno le spese nei prossimi tre mesi?

Ipsos ha indagato anche le aspettative dei consumatori in relazione ai cambiamenti delle spese totali delle famiglie nei prossimi tre mesi, escluse quelle per le vacanze. E a livello internazionale, in media, il 42% del campione afferma che le spese aumenteranno. In particolare, secondo il 12% aumenteranno molto e secondo il 30% poco, mentre per il 41% non cambieranno e per il 17% diminuiranno. In questo caso, l’incremento viene percepito maggiormente dai consumatori più giovani e con reddito più alto. Soprattutto in Romania (62%), Argentina (61%) e Sudafrica (56%).

In Italia aumenti maggiori per trasporti e utenze

Per quanto riguarda l’Italia, in media, il 54% degli italiani ha percepito un aumento dei prezzi rispetto a sei mesi fa, soprattutto sui trasporti (73%), gli alimentari (62%), le utenze (73%), l’abbigliamento (49%), gli affitti e le manutenzioni (39%), le spese mediche (40%) e l’intrattenimento (42%). Per quanto riguarda le spese familiari nei prossimi tre mesi, solo il 27% degli italiani pensa che aumenteranno, mentre per il 58% resteranno stabili e per il 14% si ridurranno. Un dato in controtendenza e secondo solo al Giappone, il Paese che si aspetta meno rincari (16%) per la spesa familiare.

Le minacce digitali del 2022. Il report annuale di Acronis

Nel 2021 aumenta la frequenza dei cyber attacchi ad aziende e privati. Durante la seconda metà dell’anno solo il 20% delle aziende ha affermato di non aver subito attacchi informatici, contro il 32% del 2020. E nel 2022 la percentuale è destinata a non diminuire.  Il Report annuale sulle minacce digitali per il 2022 di Acronis conferma il phishing come il principale vettore di attacco, e sottolinea la sempre maggiore efficienza dei criminali informatici e l’impatto degli attacchi su Pmi e MSP. 
In particolare, i rischi che corrono i provider di servizi gestiti (MSP) non sono trascurabili. Gli attacchi alla supply chain perpetrati contro gli MSP sono infatti particolarmente devastanti, perché consentono ai criminali di accedere alle attività degli MSP e dei loro clienti. E un attacco riuscito di questo tipo causa la paralisi di centinaia o migliaia di Pmi.

Il phishing è in cima alla classifica da prima della pandemia

Secondo Acronis il 94% dei malware viene diffuso tramite e-mail con tecniche di social engineering che ingannano gli utenti portandoli ad aprire link o allegati dannosi. Il phishing quindi è in cima alla classifica da prima della pandemia, e la sua crescita è incessante. Solo quest’anno Acronis ha riferito di aver bloccato il 23% in più di e-mail e nel terzo trimestre del 2021 il 40% di e-mail contenenti malware rispetto al secondo trimestre dello stesso anno. Gli autori del phishing elaborano poi nuovi stratagemmi e passano ai sistemi di messaggistica. Per impadronirsi degli account, le nuove tecniche puntano agli strumenti di autenticazione OAuth e a più fattori (MFA).

Ransomware, la minaccia numero uno per grandi aziende e Pmi

Per bypassare i più diffusi sistemi anti-phishing vengono utilizzati messaggi di testo, Slack, chat di Teams e altro, sferrando attacchi di tipo BEC che causano la compromissione delle e-mail aziendali.
Quanto al ransomware, resta la minaccia numero uno sia per le grandi aziende sia per le Pmi. Gli obiettivi più ambiti sono il settore della PA, la Sanità, la produzione manifatturiera e altre strutture strategiche. Malgrado i recenti arresti, quello perpetrato tramite ransomware continua a essere uno degli attacchi informatici più redditizi. Acronis stima che i danni causati dal ransomware supereranno i 20 miliardi di dollari prima della fine dell’anno.

Criptovalute: i malware si appropriano degli indirizzi dei portafogli digitali

Le criptovalute sono tra le preferite dai pirati informatici. Una realtà recente è quella degli infostealer e dei malware che si appropriano degli indirizzi dei portafogli digitali. È prevedibile che nel 2022 un numero crescente di questi attacchi vada a colpire gli smart contract, i programmi che costituiscono la base fondante delle criptovalute. Secondo il Report di Acronis aumenterà però anche la frequenza degli attacchi contro le app Web 3.0, così come quella dei sofisticati attacchi flash loan, grazie ai quali verranno prelevati milioni di dollari dalle pool di criptovalute. In termini di Cyber Security il 2021 è stato l’anno peggiore mai registrato, non solo per numerose organizzazioni ma per intere nazioni, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, oggi impegnati a contrastare la pandemia di criminalità informatica internazionale.

Gli italiani e la società ‘irrazionale’

Un sonno della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia in Italia si leva un’onda di irrazionalità. Per il 12,7% degli italiani la scienza produce più danni che benefici, e per il 5,9%, pari a circa 3 milioni di persone, il Covid semplicemente non esiste. Inoltre, per il 10,9% il vaccino è inutile e per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Insomma, si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. È la società irrazionale.

Dalle tecno-fobie al negazionismo storico-scientifico

Dalle tecno-fobie, con il 19,9% degli italiani che considera il 5G uno strumento per controllare le menti delle persone, al negazionismo storico-scientifico, per il quale il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna, stiamo precipitando nell’irrazionalità. La teoria cospirazionistica del ‘gran rimpiazzamento’ ha invece contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica, e tutto ciò accade per interesse di presunte élite globaliste. L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive.

Nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali

L’irrazionale che oggi si manifesta nella società non è una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde, seguendo una parabola che va dal rancore al sovranismo psichico, e che evolve diventando il gran rifiuto degli strumenti con cui in passato abbiamo costruito benessere e progresso: scienza, medicina, farmaci, e innovazioni tecnologiche. Questo perché siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. Bassa crescita economica e ridotti ritorni in termini di gettito fiscale innescano infatti la spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale e la ricusazione del paradigma razionale.

L’esito di aspettative soggettive insoddisfatte

Di fatto, la fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte. Infatti, l’81% degli italiani ritiene che oggi sia molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse nello studio. Tanto che il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi in una laurea o in una specializzazione, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento.  Inoltre, per due terzi degli italiani, il 66,2%, nel nostro Paese si viveva meglio in passato. Segno, questo, di una corsa percepita verso il basso.

Quattro errori che possono compromettere un colloquio di lavoro

Pressochè a ognuno di noi è capitato di dover sostenere un colloquio di lavoro, magari per l’impiego che abbiamo sempre sognato. Insomma, inutile negare che sia uno snodo fondamentale all’interno di ogni percorso professionale, Per questa ragione, è fondamentale non inciampare in passi falsi: e, secondo i cacciatori di teste, esistono quattro errori che possono compromettere irrimediabilmente il risultato del colloquio, condannando il candidato al fallimento anche se sul curriculum ha tutte le competenze ricercate.

Essere puntuali e vestirsi in modo consono

Anche se potrebbe sembrare una banalità, presentati in orario è la prima mossa per fare una buona impressione ai selezionatori. “Presentarsi in ritardo, per il semplice fatto che una delle prime ed essenziali doti che si cercano in un lavoratore è proprio la puntualità” spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera. “Prima di recarsi a un colloquio di lavoro è quindi bene studiare il percorso che si dovrà fare – in auto, in bus o a piedi – tenendo conto del traffico e di vari altri eventuali ostacoli, come per esempio il bus in ritardo: è decisamente meglio arrivare nei pressi del luogo prestabilito con dieci minuti d’anticipo e farsi una breve passeggiata per ingannare il tempo e distendere i nervi, piuttosto che arrivare all’appuntamento con 10 minuti di ritardo” Anche l’abbigliamento è un biglietto da visita importante. “L’abito non fa il monaco» sottolinea l’head hunter «ma di certo, in un colloquio di 20 o di 30 minuti, anche questi dettagli sono fondamentali per definire la persona che ci si trova davanti. Meglio quindi vestirsi in modo idoneo, individuando quello che è il dress code dell’azienda che assume, per non rischiare né di essere troppo trasandati, né di eccedere in eleganza”.

Prepararsi prima e non “sparlare”

Altri due errori potenzialmente fatali sono l’impreparazione e la maldicenza. “Il terzo grande errore che fanno in molti è quello di arrivare al colloquio impreparati: si tratta di un approccio comune quanto ingenuo. Basterebbe infatti poco tempo per raccogliere qualche informazione in più sull’azienda, per imparare la sua storia e la sua filosofia: in questo modo sarà possibile affrontare il colloquio in modo migliore, e si dimostrerà di essere realmente interessati alla posizione” precisa l’esperta. Mentre l’ultimo errore grave è “parlare male degli ex colleghi di lavoro: nessuno infatti vuole assumere una persona pronta a parlare male, alla prima occasione, dell’ex capo e degli ex colleghi”.

Le performance delle startup e Pmi innovative Ict

Nonostante la crisi da Covid-19, a inizio ottobre 2021 il numero di startup e Pmi innovative del settore Ict iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese continua a crescere, arrivando a 7.749 (+16,3% rispetto a fine febbraio 2021) per una quota costante del 49% del totale. È quanto emerge dalla ricerca ‘Startup e Pmi innovative ict: performance economica’ di Anitec-Assinform e InfoCamere, che dimostra l’elevata capacità di resilienza di queste realtà, e ne evidenzia i punti di forza, ovvero l’attitudine al digitale e allo smart working, la velocità e flessibilità nell’adattarsi ai cambiamenti del mercato, e l’ottimo livello di competenze tecniche e informatiche. Rispetto ai filoni di attività, la ricerca sottolinea dinamiche leggermente più positive per le startup e Pmi innovative in ambito AI, blockchain, cybersecurity, e digital solutions.

Valore medio della produzione

Gli indicatori di produttività confermano che la ricerca di vantaggio competitivo in mercati molto innovativi e tecnologicamente avanzati si traduce in livelli più elevati di produttività, con medie superiori nei filoni di attività 4.0 e altre tecnologie digitali. Complessivamente, le 4.537 startup e Pmi innovative Ict con bilancio depositato nel 2020 hanno prodotto beni e servizi per un totale di 1,2 miliardi di euro, contro 1,5 miliardi di euro delle 4.863 startup e Pmi innovative non-Ict. E il valore della produzione medio per startup e Pmi innovativa Ict nel 2020 risulta pari a 263,3 mila euro (310,6 mila euro non-Ict).

Più valore aggiunto ma meno remunerazione iniziale

Le startup e Pmi innovative Ict hanno generato valore aggiunto per 406 milioni di euro, un valore superiore ai 332,8 milioni del segmento non-Ict. Complessivamente nel 2020 per ogni euro di produzione, le Pmi e startup innovative Ict hanno generato 33,8 centesimi di valore aggiunto contro 22,2 centesimi nel segmento non-Ict, a conferma del maggiore incremento di valore generato dalle attività sviluppate dalle aziende specializzate nei mercati tecnologici avanzati. Tuttavia, anche a causa dei maggiori costi per addetto, gli indicatori di profittabilità sono meno remunerativi nel settore Ict rispetto al settore non-Ict almeno nei primi anni di attività.  In ogni caso, le società in utile nel 2020 generano il 43,4% di produzione nel settore Ict contro il 47,6% nel settore non Ict.

La sostenibilità finanziaria migliora con gli anni

Quanto alla redditività del patrimonio netto (il ritorno economico dell’investimento effettuato), almeno il 50% delle startup e Pmi innovative Ict negli ultimi tre anni registra un valore pari o superiore all’1,1%. Gli indicatori finanziari confermano poi, riporta Adnkronos, come l’apparente squilibrio finanziario iniziale sia compensato dal consolidarsi delle attività successive alla fase iniziale, e con il manifestarsi di trend di crescita importanti nella valutazione delle potenzialità effettive nel medio-lungo periodo. Un’altra caratteristica distintiva di startup e Pmi innovative è il valore elevato delle risorse immateriali, soprattutto brevetti, marchi, avviamento, che partecipano al raggiungimento del vantaggio competitivo aziendale. L’indice mediano è infatti pari a 1 presso startup e Pmi innovative Ict (0,8 non-Ict), e l’indice medio è pari a 0.7 (0,6 non-Ict).

Mobilità sostenibile ed effetto Covid sul settore automotive

L’Osservatorio E-Mobility 2021 di Nomisma fa il punto sul mercato dell’auto, un settore particolarmente penalizzato dalla pandemia da Coronavirus. In Italia al crollo delle immatricolazioni durante il lockdown (-28% nel 2020 rispetto al 2019), ha seguito una ripresa (+64% la variazione gennaio-maggio 2021/2020), ridimensionata tuttavia da alcuni ostacoli, che a settembre hanno portato a un calo delle immatricolazioni (-33%) rispetto allo stesso periodo del 2020. Vanno letti in questo contesto anche l’evoluzione del Noleggio a Lungo Termine (NLT), cresciuto a dicembre 2020 del 4,1%, e il numero delle immatricolazioni di auto ecologiche, più che raddoppiato nel periodo gennaio-settembre 2021 rispetto all’intero 2019, e salito da 127mila a oltre 320mila unità per i veicoli ibridi ed elettrici.

Veicoli ibridi ed elettrici

Fra i motivi per i quali nell’ultimo anno sono stati utilizzati veicoli ibridi o elettrici rientrano lo stile di vita attento all’ambiente (43%), la possibilità di accedere nel centro città e nelle ZTL (35%), il minor costo chilometrico di manutenzione (33%), e la presenza di incentivi per l’acquisto (30%). Fra i fattori deterrenti, le criticità sono legate soprattutto a costi elevati (56% per ibridi, 57% per veicoli elettrici), mancanza di un’adeguata rete di punti di ricarica (38% per veicoli elettrici) e offerta insoddisfacente sul mercato (30% ibridi, 28% elettrici). Per chi ancora non utilizza auto ecologiche uno stimolo a farlo consisterebbe nell’abbattimento dei costi d’acquisto, l’aumento di incentivi/detrazioni per l’acquisto, e l’aumento dei punti di ricarica fuori e all’interno delle città.

Biciclette, monopattini e car sharing

La pandemia ha accresciuto la propensione degli italiani non solo verso i veicoli green, ma anche verso le forme di mobilità dolce, come biciclette e monopattini. Se l’auto resta il mezzo di spostamento principale per due italiani su tre, si consolidano, e crescono, nuove abitudini di mobilità: nel 2020 sono 2 milioni le biciclette vendute (+17%), 280mila le ebike (+44%), e +140% a valore monopattini elettrici, hoverboard e one wheel. Inoltre, se nel pieno della pandemia erano diminuiti car sharing (-27% tra 2020-2019) e noleggi (-53%), i primi mesi del 2021 indicano una netta ripresa per entrambi.

L’auto di domani resta un’utilitaria di proprietà a benzina

Nel biennio 2019-2020 un italiano su tre pensava di acquistare o noleggiare a lungo termine una nuova automobile, valutando preventivi, ricercando informazioni, chiedendo consigli. Un interesse concretizzato per il 27% dei casi, proseguito per il 35%, o rimandato (29%) e abbandonato (9%). Fra chi ha concretizzato l’acquisto, il 46% ha scelto un’utilitaria, il segmento preferito anche da coloro che stanno ancora riflettendo. Chi invece ha rinunciato, lo ha fatto perché ha preferito orientare altrove il proprio investimento (37%), ha diminuito il reddito familiare (32%) o ha riscontrato minori esigenze di spostamento (21%). In ogni caso, ancora netta la prevalenza, per quanto riguarda i carburanti, di benzina (39%) e diesel (37%), e per motore ibrido (12%).