Banda ultralarga e aziende alimentari: fatturato in crescita per il 44%

Quasi l’80% delle aziende del comparto alimentare con accesso alla banda ultralarga evidenzia un miglior controllo dei processi di produzione, il 72% una maggiore efficienza, e il 61% un migliore controllo di qualità e sicurezza. E quasi la metà di queste aziende, il 44%, dichiara di avere chiuso il 2023 con una prospettiva di fatturato in crescita, staccando le imprese non connesse di ben 20 punti percentuali.

È quanto emerge da una ricerca commissionata da EOLO, il fornitore di connettività tramite tecnologia FWA e prima B Corp del settore delle telecomunicazioni in Italia, a Community Research&Analysis, sotto la direzione scientifica del professor Marini dell’Università degli Studi di Padova.

Un volano per la crescita economica del Paese 

La banda ultralarga è senz’altro un volano per la crescita economica del Paese, e il settore alimentare non fa eccezione.
Considerando tutti i dati presi in esame dalla ricerca, le aziende non connesse tendono a minimizzare gli effetti della connettività sulla propria attività. Infatti, chi non dispone della banda ultralarga è meno incline a valutarne l’impatto positivo, con differenziali negativi che toccano anche i 25 punti percentuali.

Un esempio è la gestione efficiente della catena di fornitura.
In questo caso, la banda ultralarga gioca un ruolo fondamentale per le aziende già connesse (75%), ma meno della metà delle realtà non connesse è dello stesso avviso.

Le aziende connesse investono di più

Un’ulteriore evidenza dei benefici della banda ultralarga per le aziende del settore si riscontra anche nelle previsioni di investimenti.

Quasi il 20% delle aziende non connesse prospetta una riduzione degli investimenti nella propria attività, una percentuale simile a coloro che intendono invece aumentarli (22,9%).
Tra le aziende connesse questi numeri migliorano sensibilmente. Le previsioni di investimenti in aumento raggiungono il 27,6%, mentre solo il 14% del campione si attende una contrazione.

“La soluzione migliore per raggiungere i territori a bassa densità di popolazione”

“La connettività è un driver di sviluppo fondamentale per il Paese, permettendo alle aziende di crescere e diventare più competitive – ha sottolineato Andrea Pelizzaro, chief sales officer di EOLO -. Per rendere sempre più aree del Paese connesse, la tecnologia di EOLO gioca un ruolo cruciale, perché rappresenta la soluzione migliore per raggiungere i territori a bassa densità di popolazione. È infatti in queste aree che si concentrano molte piccole e medie imprese anche nel settore alimentare, che non potendo accedere alla banda ultralarga si trovano a competere in una situazione di svantaggio”.

UE, a gennaio 2024 il mercato dell’auto ingrana la marcia

Nel gennaio 2024, il mercato delle auto nuove nell’Unione Europea ha segnato una ripresa dopo il rallentamento di dicembre 2023, con un aumento del 12,1% nelle immatricolazioni su base annua, raggiungendo le 851.690 unità.

I principali mercati del blocco hanno tutti registrato significative crescite, con la Germania in testa con un +19,1%, seguita da Italia (+10,6%), Francia (+9,2%) e Spagna (+7,3%), che hanno riportato incrementi a una o due cifre.

Elettriche, ibride, benzina o diesel: quali le preferite?

Nel mese di gennaio, le auto elettriche a batteria rappresentavano il 10,9% della quota di mercato (rispetto al 9,5% di gennaio 2023), mentre le auto ibride-elettriche si attestavano al 30%, confermandosi come la seconda scelta preferita dagli europei. La quota combinata di auto a benzina e diesel era del 50%, segnando un calo rispetto al 54% dell’anno precedente.

Exploit dell’elettrico

Le vendite di nuove auto elettriche a batteria a gennaio 2024 sono cresciute del 28,9%, raggiungendo le 92.741 unità, pari al 10,9% del mercato totale. I quattro principali mercati dell’UE hanno registrato incrementi robusti a doppia cifra, con Belgio (+75,5%), Paesi Bassi (+72,2%), Francia (+36,8%) e Germania (+23,9%). Lo sottolinea Acea, l’associazione dei costruttori europei.

Le auto ibride-elettriche hanno visto un aumento del 23,5% nelle nuove immatricolazioni nell’UE a gennaio, trainate da crescite significative in Spagna (+26,5%), Francia (+29,9%), Germania (+24,3%) e Italia (+14,2%), raggiungendo le 245.068 unità e una quota di mercato del 28,8%.
Le vendite di auto elettriche ibride plug-in sono risalite nel gennaio 2024, con un aumento del 23,8% a 66.660 unità, guidato da incrementi notevoli in Belgio (+65,2%) e Germania (+62,6%). Le auto ibride plug-in rappresentano ora il 7,8% delle vendite totali di auto nell’UE.

La benzina tiene, il diesel cala

Il mercato delle auto a benzina ha registrato una crescita del 4% nell’UE a gennaio 2024, trainato da notevoli aumenti in Italia (+26,7%) e Germania (+16,9%). Nonostante la leadership con il 35,2% del mercato, la quota delle auto a benzina è diminuita rispetto al 37,9% di gennaio 2023.

Al contrario, il mercato delle auto diesel nell’UE ha subito una contrazione del 4,9% a gennaio, con cali evidenti in Francia (-23,4%), Spagna (-10,2%) e Italia (-8,7%), ma la Germania ha registrato un tasso di crescita del 4,3%. Le vendite di auto diesel hanno rappresentato il 13,4% del mercato, in calo rispetto al 15,8% di gennaio 2023.

Anagrafe delle imprese: stabili le iscrizioni (+0,7%), aumentano le chiusure (+2,1%)

Emerge dai dati Movimprese, elaborati da Unioncamere e InfoCamere sulla base del Registro delle imprese delle Camere di commercio: il saldo 2023 per le imprese italiane resta positivo (+0,7%), con 42mila nuove imprese registrate negli ultimi dodici mesi. Oltre il 70% però opera in soli tre macro-settori, costruzioni, turismo e attività professionali.

In uno scenario economico caratterizzato da inflazione, tensioni geopolitiche e cambiamenti tecnologici, il saldo quindi non è positivo per tutti gli ambiti di attività, e le chiusure crescono del +2,1%.
In ogni caso, il settore più dinamico, in termini di crescita imprenditoriale, è il comparto delle costruzioni, che nonostante l’incertezza sulle prospettive dei bonus legati all’edilizia alla fine del 2023 conta +13.541 imprese rispetto al 2022 (+1,62%).

Anno positivo per il comparto vacanze

Bene anche le attività professionali, scientifiche e tecniche, che a fine 2023 presentano un aumento significativo di 11mila imprese, trainate dal ‘boom’ della consulenza aziendale e amministrativo-gestionale. Il saldo positivo è di oltre 6.000 attività, per una variazione relativa dell’8%.

Anno positivo anche per il comparto della vacanza, in cui si contano 3.380 attività di alloggio aggiuntive (+5,13%) e 3.015 bar e ristoranti in più rispetto al 2022 (+0,77%).

Alla crescita hanno contribuito significativamente anche le attività immobiliari, che a fine 2023 contano 5.197 imprese in più dell’anno precedente (+1,72%).
A fronte di questi risultati positivi, i settori più tradizionali continuano a segnalare un restringimento della platea delle imprese.

Commercio -0,6%, agricoltura -1,05%, manifattura -0,56%

Il 2023 per il commercio si è chiuso con una riduzione complessiva di 8.653 attività (-0,6%), anche se il ‘processo di selezione’ ha riguardato essenzialmente il commercio al dettaglio, che nel 2023 ha perso quasi 7.700 unità. Nell’agricoltura, il bilancio di fine anno evidenzia una riduzione complessiva di 7.546 imprese (-1,05%) mentre la manifattura presenta una perdita complessiva di 2.962 imprese (-0,56%). 

Una performance per quest’ultimo settore che tocca tutti comparti, con la sola eccezione delle imprese di riparazione, manutenzione e installazione di macchine e apparecchiature (+1.137 unità), accompagnata da una sostanziale stabilità delle industrie di cantieristica navale, aerospaziale e ferro-tramviaria (+56), e delle bevande (+37).

Più Spa meno società individuali 

Guardando al territorio, i dati indicano in crescita il tessuto imprenditoriale di tutte le quattro aree geografiche.
Con le sue 14.948 imprese in più, il Mezzogiorno ha determinato più di un terzo dell’intero saldo annuale, staccando il Nord-Ovest (+11.210) e il Centro (+10.626).

In termini assoluti, meglio di tutte hanno fatto Lombardia (+10.562), Lazio (+9.710) e Campania (+6.351). Il Lazio (+1,59%) registra invece la crescita più sostenuta in termini relativi; seguono la Lombardia (+1,12%) e la Campania (+1,04%).
L’intero saldo positivo è spiegato dalla crescita delle società di capitale: +57.846 (+3,1%), in linea con il 2022. Le imprese individuali continuano a rappresentare la metà dello stock di imprese esistenti (50,6%), ma sono in flessione di quasi 2mila unità (-0,1%).

Italia, dopo Germania e Svezia è leader nell’edilizia in legno

L’Italia ha confermato la sua posizione di terzo produttore di soluzioni abitative in legno nel 2022, con un aumento dell’1% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un totale di 3602 unità abitative.
Questo piazzamento vede il nostro Paese collocarsi subito dietro la Germania e la Svezia, ma prima dell’Austria. Il settore ha registrato un notevole incremento del fatturato, raggiungendo i 2,3 miliardi di euro, con un deciso aumento del 15,8% rispetto al 2021.

Dinamicità della produzione residenziale in legno

Il settore ha visto una accelerata nella crescita soprattutto grazie alla produzione residenziale in legno, che ha contribuito con 866 milioni di euro al fatturato complessivo e ha registrato un aumento del 12,7% rispetto al 2021.
Tale dato rappresenta un quinto della produzione tedesca (4,4 miliardi di euro) e il 7,2% di quella complessiva dei 27 Paesi dell’Unione Europea, che ammonta a 12 miliardi di euro. A evidenziarlo sono i dati dell’8° ‘Rapporto Edilizia in legno’, realizzato dal centro studi di FederlegnoArredo.

Produzione non residenziale ed edilizia tradizionale in legno

Oltre all’edilizia residenziale, il rapporto evidenzia la produzione non residenziale in legno, che ha raggiunto i 633 milioni di euro con un incremento del 12,2% rispetto al 2021. L’edilizia tradizionale in legno ha contribuito con 767 milioni di euro, con un notevole aumento del 22,9% rispetto all’anno precedente.

La geografia delle imprese di Bioedilizie in Italia

Il rapporto sottolinea la distribuzione geografica delle imprese bioedilizie, evidenziando una concentrazione significativa in Lombardia, con 73 aziende attive, seguita da Trentino-Alto Adige e Veneto, che rappresentano il 50% del totale.
Il Trentino-Alto Adige si distingue come la regione con le imprese più grandi e altamente specializzate, contribuendo al 19% della produzione complessiva, seguita dalla Lombardia al 16%.

Concentrazione nel settore 

Analizzando le dimensioni delle aziende, il rapporto rivela che le prime 10 imprese rappresentano quasi il 31% del mercato, mentre il 68% ha un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro. Solo il 7% delle aziende ha un giro d’affari superiore ai 50 milioni di euro, ma contribuisce al 46% del mercato, evidenziando una concentrazione significativa nel settore.

Bioedilizia come alternativa sostenibile

Il rapporto conferma il progressivo guadagno di quote di mercato da parte della bioedilizia, indicando il suo potenziale come alternativa concreta all’edilizia tradizionale. Tuttavia, il report mette in luce la necessità di un’operazione di sensibilizzazione e promozione del settore per renderlo appetibile sia per i cittadini privati sia per le amministrazioni pubbliche, promuovendo la consapevolezza del valore delle strutture in legno in termini di sostenibilità e stoccaggio di CO2. 

Lavoro e maternità, perchè in Italia sembrano inconciliabili?

In Italia il rapporto fra donne e lavoro continua a rimanere complicato. Ancora di più quando ci sono dei bambini. Lo rivela l’ultima indagine condotta dall’Ispettorato del Lavoro (INL) in collaborazione con l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP). L’analisi ha infatti messo in luce un preoccupante aumento delle dimissioni volontarie tra le donne madri in Italia.
Secondo il rapporto, un impressionante numero di 44.699 madri ha scelto di lasciare il proprio impiego, un dato notevolmente più elevato rispetto ai 16.692 padri che hanno preso la medesima decisione.

Boom di dimissioni nei primi tre anni di vita dei figli

La tendenza si fa ancora più evidente quando si analizzano le dimissioni nei primi tre anni di vita dei figli. Il documento mette in luce una crescente difficoltà per le donne nel conciliare le responsabilità professionali con quelle familiari. Tra le categorie professionali più colpite spiccano gli impiegati (30.299) e gli operai (26.471), con il 65,8% delle dimissioni che coinvolgono lavoratori a tempo pieno.

Le ragioni alla base di queste decisioni sono molteplici: il 37,5% delle dimissioni è imputabile al cambio di azienda, mentre il 32,2% è dovuto alle sfide legate alla conciliazione tra lavoro e cura dei figli. Tra queste, la difficoltà nel trovare un equilibrio tra esigenze professionali e familiari emerge come la causa principale, rappresentando il 49,8% delle motivazioni totali.

Anche nelle dimissioni esiste un divario di genere

Il rapporto sottolinea altresì un evidente divario di genere nelle motivazioni delle dimissioni. Le donne madri tendono a lasciare il lavoro principalmente a causa delle difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia, spesso aggravate dalla mancanza di servizi adeguati e problematiche organizzative sul luogo di lavoro. Al contrario, per i padri, le ragioni principali sono più strettamente legate a questioni professionali. Insomma, il “problema” famiglia pare essere tutto sulle spalle delle donne.

Servono politiche di supporto

Questi dati mettono in luce l’urgente necessità di affrontare la questione della conciliazione tra vita professionale e familiare, specialmente per le donne madri. Ciò sottolinea l’importanza di politiche di supporto più efficaci e di un rinnovato impegno nel promuovere un ambiente lavorativo equilibrato e inclusivo, per tutti e… tutte.

Turismo: “c’è fame d’Italia all’estero”, e un 1/3 di spesa in vacanza è per il cibo

È quanto emerge da una analisi della Coldiretti: più di un terzo della spesa di italiani e stranieri in vacanza in Italia è destinato alla tavola, ovvero, alla consumazione di pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche al cibo di strada o alle specialità enogastronomiche di mercati, feste e sagre di Paese.

L’analisi, divulgata in occasione del Forum internazionale del turismo di Baveno, sul Lago Maggiore, fa da commento delle dichiarazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni sulla “tantissima fame di Italia all’estero”. Il cibo infatti è la voce più importante del budget destinato alle vacanze estive in Italia, tanto che per molti turisti è diventato la principale motivazione del viaggio.
Lo dimostrano il boom del turismo enogastronomico, insieme alle numerose iniziative di valorizzazione dei prodotti tipici e locali, dalle sagre alle strade del vino.

Il patrimonio enogastronomico nazionale al centro della vacanza Made in Italy 

Si tratta di uno scenario che, sottolinea la Coldiretti, dimostra per ‘la vacanza Made in Italy’ la centralità del patrimonio enogastronomico nazionale.

Un patrimonio diffuso su tutto il territorio, e dalla cui valorizzazione dipendono molte opportunità di sviluppo economico e occupazionale per il nostro Paese.
L’alimentazione si conferma quindi come il vero valore aggiunto della vacanza in Italia, ‘leader mondiale’ del turismo enogastronomico.

L’agricoltura tricolore è la più green d’Europa

Del resto, l’Italia può contare sull’agricoltura più green d’Europa, con 5450 specialità censite dalle Regioni e ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni, 325 specialità Dop, Igp, Stg riconosciute a livello comunitario, e 415 vini Doc e Docg.

Ma l’Italia può anche vantare la leadership nel ‘biologico’, con circa 86 mila aziende agricole biologiche e la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati (ogm), oltre ai 10 mila agricoltori che vendono direttamente con Campagna Amica.

“I tesori enogastronomici sono opere d’arte conservate da generazioni”

“L’Italia è il solo Paese al mondo che può contare primati nella qualità, nella sostenibilità ambientale e nella sicurezza della propria produzione agroalimentare che peraltro ha contribuito a mantenere nel tempo un territorio con paesaggi di una bellezza unica – ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, sottolineando che -: i tesori enogastronomici sono vere e proprie opere d’arte conservate gelosamente da generazioni di agricoltori che vanno difese dal rischio della falsificazione, dall’omologazione e dai tentativi di rompere il legame naturale tra il cibo che consumiamo e l’ambiente che ci circonda”.

Casa: lo stop al Superbonus non frena la sfida green

Sebbene in Italia circa una casa su 10, solo il 12%, possa essere considerata veramente efficiente, e complessivamente, solo un terzo delle famiglie, il 34%, abbia fatto almeno qualcosa in direzione della transizione energetica, la buona notizia è che il trend rilevato a metà 2023 è stato comunque in crescita rispetto al periodo analogo del 2022.

Infatti, appena un anno fa, le case veramente efficienti erano il 10%, e quelle almeno parzialmente efficienti, erano il 28%. 
Questo, considerando che lo stop al Superbonus è avvenuto a febbraio. Quindi, la sospensione delle agevolazioni non aveva ancora completamente impattato ‘sulla’ sostenibilità delle abitazioni.
A rilevarlo è la settima edizione dell’Osservatorio Smart Home-Green Home di Eumetra, condotto su 2.000 famiglie italiane. 

Un trend destinato a spegnersi?

Sicuramente lo stop al Superbonus sta avendo e avrà un impatto sul processo verso l’efficientamento energetico, tuttavia, la transizione green continuerà.
Più in particolare, una conseguenza maggiore sull’avvio di opere impegnative, come l’isolamento termico perimetrale (il cosiddetto ‘cappotto’), che richiedono investimenti iniziali consistenti, burocrazia complessa, nonché il disagio derivante dal cantiere, la avrà lo stop alla cessione del credito.

Il 27% di chi non è propenso a investire in queste opere dichiara infatti che lo stop della cessione del credito sta impattando sulla loro decisione. Rapportati alla popolazione, i non propensi a investire in questo tipo di opere, rappresentano comunque il 14% delle famiglie.

Impianto fotovoltaico: sì o no?

Ma su altre opere o dotazioni, forse, l’impatto potrebbe essere minore. Ad esempio, se il costo della componente energia continuerà ad aumentare la propensione a dotarsi di impianto fotovoltaico, che sarebbe ammortizzato in tempi più brevi, potrebbe rimanere allettante.

Dichiarano che lo stop alla cessione del credito influirà sulla loro decisione di investire in tal senso il 22% dei non propensi all’acquisto futuro. Che al netto dei già possessori, dei propensi almeno genericamente e degli incerti, rappresentano il 5% della popolazione.
Altri fattori, come cambiamento climatico e temperature alte per lunghi periodi, inducono le famiglie a dotarsi di apparecchiature come un climatizzatore. Primo acquisto o sostituzione, si tratta comunque di tecnologie nuove, che consumano meno energia e garantiscono maggior benessere.

Un percorso culturale ormai avviato

In questo caso, lo stop alla cessione del credito fermerebbe il 15% dei non propensi all’acquisto futuro. Al netto degli acquirenti recenti, dei propensi e degli incerti, rappresentano il 6,5% della popolazione.

In ogni caso, un altro driver potente è il fattore ‘moda’, che induce a dotarsi di elettrodomestici innovativi, come ad esempio il piano da induzione per la cottura dei cibi, in sostituzione del classico fornello a gas.
Restano infatti a disposizione altri incentivi fiscali, come le detrazioni fiscali, ma soprattutto sembra ormai avviato un percorso ‘culturale’ verso l’efficientamento energetico unito alla ricerca di maggiore comfort.

Sanità: tra costi e tempi di attesa gli italiani rinunciano a curarsi

Nell’ultimo anno quasi 14 milioni di italiani, uno su 3, hanno rinunciato a sottoporsi a una o più visite o cure mediche. Al Sud e nelle Isole la percentuale arriva addirittura al 37,5%.
Le ragioni? Fra chi ha scelto di non curarsi, il 64% lo ha fatto a causa dei tempi di attesa troppo lunghi e il 60% per via dei costi elevati (circa 8,3 milioni).
Secondo l’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat, tra coloro che hanno rinunciato a esami, visite e operazioni, la frequenza maggiore è stata riscontrata per oculistica (36%), dermatologia (35,6%) e odontoiatria (35,5%).
Ma non manca chi ha scelto di non curarsi anche in aree mediche come ginecologia (25%) o cardiologia (26%).

Il problema delle liste d’attesa

Numeri così alti non sorprendono: chi nell’ultimo anno si è curato solo attraverso il SSN ha affrontato, in media, liste di attesa di circa 77 giorni, valore influenzato certamente anche dalla scarsità di personale medico nelle strutture pubbliche.
Liste d’attesa che tendono ad allungarsi fino a quasi raddoppiare, a seconda dell’area geografica e della specializzazione richiesta.
Proprio a causa dei tempi così dilatati 14 milioni di italiani hanno dichiarato di essersi rivolti a una struttura privata.
Chi ha fatto questa scelta si è dovuto confrontare, in media, con liste di attesa di circa 15 giorni, non di 77.

Quanto costa rivolgersi alle strutture private?

Chi si è curato in una struttura a pagamento ha speso, in media, 335 euro per ogni approfondimento specialistico (nel Centro Italia si sfiorano 400 euro).
Gli importi medi pagati dai pazienti sono stati sensibilmente diversi anche a seconda dell’area specialistica, e vanno da 117 euro per gli esami del sangue a 144 euro per la ginecologia, da 210 per la dermatologia a 610 per la chirurgia generale fino a 716 euro per l’odontoiatria.
Per far fronte a questi costi il 77% degli intervistati ha utilizzato i propri risparmi.
Solo il 20% ha potuto usufruire di un’assicurazione sanitaria, mentre il 15% ha dovuto chiedere un sostegno economico ai familiari, e il 5% si è rivolto a una banca o una società finanziaria.

Cambiare regione per curarsi

Sempre nell’ultimo anno, poi, oltre 2,4 milioni di persone hanno dovuto cambiare regione per sottoporsi a esami, visite o interventi.
Sebbene il fenomeno sia stato rilevato in tutto il Paese, sono le aree del Centro Italia quelle dove la percentuale di chi ha cambiato regione per curarsi è più alta (11,5% rispetto al 7,4% rilevato a livello nazionale).
Le regioni verso cui ci si è spostati con più frequenza? Sono Lazio (27%), Lombardia (19%), Emilia-Romagna (15%) e Veneto (11%).

Classifica delle università europee: Politecnico di Milano tra le prime 50

La conferma arriva dalla classifica europea delle migliori università stilata da QS Quacquarelli Symonds: è il Politecnico di Milano il migliore ateneo italiano. L’istituzione milanese si piazza al 47° posto nel ranking generale ed è l’unico ateneo italiano a figurare tra le prime cinquanta, mentre la Sapienza di Roma e le università di Bologna e Padova si posizionano tra le prime cento. Tra gli altri atenei italiani che si sono distinti in ognuno dei dodici indicatori della classifica, Ca’ Foscari – Università di Venezia occupa l’apice nazionale per il numero di studenti in scambio in uscita, seguita dall’Università Cattolica del Sacro Cuore al 6° posto in questa categoria, mentre il Politecnico di Bari si mette in luce per la produttività dei suoi ricercatori.

Altre eccellenze: dalla Sapienza alla Libera Università di Bozen-Bolzano

La Sapienza è invece particolarmente apprezzata nella comunità accademica internazionale, oltre ad avere una vasta rete di ricerca globale e ottime prospettive occupazionali per i suoi laureati, il Politecnico di Milano si distingue come il più apprezzato dai datori di lavoro internazionali e come punto di riferimento per attrarre studenti internazionali in scambio, e l’Università Vita-Salute San Raffaele brilla per il rapporto ottimale tra docenti e studenti, il notevole impatto della sua ricerca e le citazioni per pubblicazione scientifica. La Libera Università di Bozen-Bolzano si fa invece notare per l’alta proporzione di docenti internazionali.

La produttività della ricerca è un punto di forza tricolore

Nell’indicatore relativo alla produttività dei ricercatori, l’Italia occupa 25 posizioni tra i primi cento posti, superando Francia e Germania, che registrano 13 atenei ciascuno in questa fascia. A livello nazionale, sono i tre Politecnici di Bari, Torino e Milano a spiccare, seguiti dall’Università di Napoli Federico II e dall’Università di Firenze, che completano la top 5 italiana. Inoltre, l’Università di Milano-Bicocca si colloca tra le prime 150, mentre l’Università di Trento registra il terzo miglior punteggio a livello nazionale.

L’Università di Padova guida la classifica italiana della sostenibilità 

Per quanto riguarda l’indicatore di sostenibilità, che valuta l’impatto ambientale e sociale delle università, nonché la ricerca e l’insegnamento in questo ambito, è l’Università di Padova a guidare la classifica italiana, seguita dall’Università di Milano e dalla Sapienza. Come evidenzia poi un sondaggio che ha raccolto risposte da oltre 144.000 partecipanti, di tutte le università italiane 16 si collocano tra le prime 200 in Europa per la reputazione guadagnata all’interno della comunità accademica internazionale. La Sapienza e l’Università di Bologna figurano tra le prime 20, apprezzate da accademici di tutto il mondo, e il Politecnico di Milano si posiziona tra le prime 30, mentre l’Università di Padova è tra le prime 50 a livello europeo.

Si spende di più ma si compra meno, ed è boom dei discount

La sensazione di tanti consumatori di spendere sempre di più per comprare meno è confermata dai dati Istat sulle vendite al dettaglio, che anche nel mese di luglio vedono il calo del volume degli acquisti raggiungere il 4,5% su base annua, a fronte di una spesa superiore del 2,7%. Insomma, l’inflazione insiste nel mettere alla prova il potere d’acquisto delle famiglie italiane, che sempre più ricorrono per i loro acquisti ai discount, in crescita del 10,5%. Intanto il governo cerca di stringere sul patto salva-spesa che potrebbe rientrare nell’accordo sul trimestre anti-inflazione. Un’iniziativa che dal primo ottobre offrirà un paniere di prodotti di prima necessità a prezzi calmierati nei negozi, super e ipermercati aderenti, contrassegnati da un bollino tricolore.

Un paniere salva-spesa ribassato del 10%

“Perché funzioni realmente – dichiara Assoutenti – il paniere salva-spesa deve vedere seriamente impegnate tutte le parti in causa, dal commercio ai produttori, e deve portare a un sensibile ribasso dei prezzi”.
Un ribasso del 10% sui prodotti del carrello della spesa, stima l’associazione, porterebbe a risparmi di 4 miliardi, pari a oltre 155 euro per la famiglia media nell’arco del trimestre. Più scettica, l’Unione nazionale consumatori bolla la bozza di intesa come “parole includenti, generiche e prive di impegni precisi”.

Ritorna la cucina povera dei piatti anti spreco

L’iniziativa interverrebbe in un contesto di consumi fiacchi dove le vendite dei prodotti a basso prezzo sono le uniche in crescita. La Coldiretti registra anche un ritorno della cucina povera dei piatti anti spreco preparati in quasi 7 famiglie su 10, dalla frittata di pasta alla panzanella e alle polpette recuperando della carne rimasta, ma anche la ribollita o i canederli. In generale, secondo Confcommercio, non è allarmante il dato puntuale sulle vendite di luglio, che vede rispetto a giugno una crescita del +0,4% in valore e un calo del -0,2% in volume, è “invece preoccupante il quadro che si sta delineando mettendo a sistema gli indicatori congiunturali relativi a terzo trimestre”.

Intanto a svuotare i portafogli continua a pensarci anche la benzina 

Per l’anno in corso, lo stesso traguardo di una variazione del Pil all’1% sarebbe in discussione. Confesercenti sottolinea che le difficoltà sono maggiori per le piccole imprese, con vendite in calo anche in valore, e che per oltre metà dei negozi di moda i saldi estivi hanno avuto scontrini inferiori al 2022. Intanto, riporta Ansa, a svuotare i portafogli dei consumatori continua a pensarci la benzina, con il servito che raggiunge i 2,1 euro al litro, secondo le elaborazioni di Quotidiano Energia.